Arte contemporanea 


biennale
di Rennes

Cristina Baldacci

Il 29 settembre (fino al 2 dicembre) inaugura Les Ateliers de Rennes, manifestazione d’arte contemporanea che, ormai da un decennio, si tiene a cadenza biennale nel capoluogo bretone. Il nome si riferisce all’atelier, e di conseguenza anche alla mostra, sia come luogo di creazione artistica sia di produzione industriale. L’intenzione è mettere a confronto i due ambiti arte-economia come sinonimi di innovazione sul territorio e incentivare particolarmente la complicità dei giovani. 

Anche per questo la biennale, il cui epicentro è Rennes, con diversi spazi espostivi - tra cui musei, gallerie, centri culturali e universitari (Halle de la Courrouze, Musée des beauxarts de Rennes, Frac Bretagne, 40mcube, La Criée centre d’art contemporain, PHAKT - Centre Culturel Colombier, Galerie Art & Essai de l’Université Rennes 2, Lendroit éditions) -, coinvolge altre due località della regione: Brest (Passerelle Centre d’art contemporain) e Saint- Brieuc (Galerie Raymond Hains). E, soprattutto, ha commissionato ex novo molte delle opere in mostra, grazie a finanziamenti privati provenienti dal gruppo agroalimentare Norac, che ha fondato appositamente un’associazione a sostegno dell’arte. 

Per la sesta edizione degli Ateliers de Rennes i due curatori, Céline Kopp ed Etienne Bernard, rispettivamente direttrice dell’associazione no-profit Triangle France di Marsiglia e direttore di Passerelle Centre d’art contemporain di Brest (una delle location della biennale, come accennato sopra), hanno scelto un tema ambivalente. Il titolo francese À cris ouverts può infatti significare letteralmente “a grida aperte”, oppure, in senso più metaforico, “a crisi in corso”. In entrambi i casi, il richiamo e l’invito fatto agli artisti è di lavorare sulle differenze e anomalie di senso per ripensare collettivamente questioni che non riguardano unicamente l’arte, ma anche altri ambiti, da quello sociale e culturale a quello ambientale ed economico, mantenendo sempre aperto il confronto dialogico. 

L’attenzione è rivolta principalmente a due realtà che sono accomunate da una stessa radice linguistica, quindi anche da un iniziale significato: ecologia ed economia. Per entrambe, il suffisso “eco”, di origine greca (“òikos”), si riferisce all’unità base della società, la famiglia o casa. L’obiettivo della mostra è pertanto soffermarsi sull’analisi delle strutture sociali in cui viviamo per metterne criticamente in luce le diverse relazioni di potere, soprattutto quando coinvolgono problemi di classe, genere e razza. 

Tra i circa trenta artisti invitati a riflettere attorno a questi temi per scardinare preconcetti e visioni convenzionali, riduzioniste o normativizzanti ci sono nomi da tempo impegnati nella spinta al cambiamento sociale e culturale. Come gli americani Terry Adkins (1953-2014) e Mierle Laderman Ukeles (1939): l’uno incentrato su temi razziali e sul potere emancipatorio della musica; l’altra su problematiche femministe espresse attraverso il corpo e azioni pubbliche. Oppure, l’africano John Akomfrah (1957), che con i suoi film affronta temi postcoloniali, come quello della diaspora e migrazione, con le difficoltà a livello personale, collettivo e globale che ne derivano.


Di urgente attualità il tema della sesta edizione: lavorare sulle differenze e anomalie di senso per ripensare questioni che non riguardano solo l’arte


Immagine della comunicazione di Les Ateliers de Rennes 2018.