In numerose opere pittoriche a tema sacro realizzate tra Duecento e Cinquecento, sulle vesti dei santi, degli angeli e dei profeti sono presenti segni grafici che paiono lettere di un alfabeto sconosciuto. Queste ornamentazioni epigrafiche si rifanno a un determinato alfabeto, hanno solo un valore decorativo o una funzione evocativa, o rimandano ad altri significati? E a prescindere dalla vera accezione allusa, dove hanno origine? A oggi le prime testimonianze sono nelle opere di Duccio di Buoninsegna e di Cimabue. È una loro invenzione o i due grandi maestri della pittura tardoduecentesca si rifanno a una tradizione bizantina, o alle decorazioni pittoriche delle statue presenti nelle cattedrali gotiche francesi e inglesi del XII e XIII secolo, o alle scritture cufiche e agli arabeschi orientali? Le statue dei portali gotici col tempo hanno perduto le decorazioni originarie e quindi non abbiamo testimonianze dirette. A giudicare dalla presenza di questi caratteri sui cartigli, fogli o libri dei quattro evangelisti nelle vetrate dipinte a grisaglia da Duccio per il duomo di Siena attorno al 1287 è plausibile pensare che il pittore e la sua committenza abbiano voluto rimandare a una lingua ispirata da Dio per le sacre scritture, o a lettere utilizzate quando visse Gesù Cristo. Simili caratteri sono presenti anche nella Madonna Rucellai, detta anche Madonna dei laudesi (1285), dove il giovane Duccio svolge meticolosamente un lungo racconto epigrafico nell’arabesco dorato sulla orlatura del manto e della veste di Maria, sul tessuto che ricopre il trono, sugli scolli e maniche di alcuni angeli. Nella stoffa sul trono della Maestà (1280 circa) di Cimabue, ora conservata al Louvre, studiosi hanno individuato versi coranici, probabilmente ripresi da preziosi manufatti di provenienza islamica, che sono giunti in Italia con l’intensificarsi degli scambi commerciali nei bacini nord e sud-est del Mediterraneo nel XIII secolo.
