Sapete cos’è una faglia? È la frattura che avviene in un corpo roccioso quando il materiale, sottoposto a sforzo, per esempio a causa di un terremoto, supera il limite elastico e raggiunge il punto di rottura. Così terreni che originariamente sono alla stessa quota vengono a trovarsi a livelli differenti, e terreni diversi per età e caratteristiche litologiche spesso vengono messi a contatto. Ebbene, alla fine del periodo Meiji (1868-1912), alle soglie del nuovo secolo, era proprio ciò che stava succedendo in Giappone. Da una parte della spaccatura la tradizione, dall’altra, l’innovazione. E chi si trovava in mezzo, rimaneva schiacciato. Il progresso era incarnato dalla tecnologia, che l’Occidente sbatteva in faccia con tracotanza a tutte le altre nazioni nelle grandi esposizioni internazionali. Un’innovazione che la “ragione di Stato” imperiale aveva compreso come scelta ineluttabile, e che aveva imposto in pochi anni con la forza, arrivando addirittura a prendere a cannonate, nella battaglia di Shiroyama, gli ultimi samurai ribelli, l’antica aristocrazia, che si lanciarono contro l’esercito, armati solo di spade e archi.
In un quarto di secolo forze armate, industria pesante, trasporti, ma anche gli stili di vita avevano compiuto un balzo in avanti inimmaginabile,
trasformando un paese feudale e agricolo in una delle grandi potenze economiche del proprio tempo. Ma se il business rende più semplice accettare i
cambiamenti, molto più duro è invece essere accettati come progressisti in un campo come le arti visive, rimaste immutate per centinaia di anni. Fu
questa l’opera di un manipolo di arditi pionieri, tra artisti, architetti, fotografi e designer, limitati per numero, osteggiati dalla cultura
dominante, di elevatissima qualità. La loro vita nel periodo compreso tra il primo e il secondo conflitto mondiale fu difficile, proprio perché volevano
ricollegarsi a linguaggi e valori stranieri, anzi “universali”, che negavano però le radici artistiche stesse della nazione, e quindi erano considerati
ostili. Di conseguenza, erano malvisti in patria, e come spesso succede, sottovalutati all’estero.