Il primo teatro in Europa che riprese la tradizione dell’antichità e fu costruito appositamente per le recite è quel bellissimo Odeo Cornaro fatto erigere a Padova nel 1524 da un gruppo di umanisti su disegno di Giovanni Maria Falconetto: la scena e il fondale riprendevano l’impianto dei teatri grecoromani che la passione antiquariale di quegli anni veniva a riscoprire, collazionando le indicazioni dei pochi teatri che l’Europa aveva conservato.
In quel secolo, per esempio, la diffusione delle immagini relative al teatro di Mérida, in Spagna, suscitò grande interesse: la scena con i suoi tre
accessi centrali e i due ingressi laterali servì innegabilmente da fonte d’ispirazione per il secondo teatro moderno, edificato a Vicenza nel 1580 su
progetto di Palladio ma che il sommo architetto non ebbe la fortuna di vedere ultimato perché morì subito dopo l’inizio dei lavori; fu il suo discepolo
Scamozzi, quasi sicuramente, l’artefice del completamento. E così Vincenzo Scamozzi fu chiamato a eseguirne una seconda edizione per il più bizzarro dei
potenti d’allora, quel Vespasiano Gonzaga che stava inventando la sua città di fondazione, quella piccola Sabbioneta che divenne uno dei primi
esperimenti di città ideale. Finita quell’opera innovativa quanto ambiziosa vi fu inciso nella pietra un pensiero che più d’ogni altro raccoglieva la
sensibilità del Rinascimento: «Roma quanta fuit ipsa ruina docet».
La passione per l’architettura romana era intesa non solo come citazione aulica da applicare al disegno delle facciate inventate dai sommi architetti.
Era percepita come impostazione complessiva della città e dei suoi monumenti e aveva già da un secolo colpito la fantasia dei pittori. Paolo Veronese
aveva celebrato con enfasi le arcate della romanità riprendendo le lezioni di Sansovino nella loggia di piazza San Marco a Venezia.