Grandi mostre. 3
Oscar Ghiglia a Viareggio

IL QUOTIDIANO
SI TINGE DI SACRO

Ha saputo conuigare modernità e tradizione e rendere solenne la semplicità di un gesto, l’ordinarietà del reale. Questi gli elementi fondamentali della pittura di Oscar Ghiglia, geniale e solitario autodidatta, di formazione macchiaiola, antesignano del realismo magico degli anni Trenta e interprete originale dell’impressionismo francese.


Fernando Mazzocca

Risulta che Amedeo Modigliani, durante una vivace discussione con Anselmo Bucci svoltasi subito dopo il suo arrivo a Parigi, abbia esclamato che in «Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta». Questa ferma convinzione, che veniva da lontano, dal giovanile sodalizio negli anni della loro formazione livornese all’ombra del genio tutelare di Fattori, legittima la presenza di due ritratti di Modigliani a chiusura della eccezionale mostra di Viareggio. Davvero singolare per il numero e la qualità delle opere esposte, ma soprattutto perché riesce finalmente a chiarire, in tutte le sue sfumature, il complesso percorso di un solitario protagonista negli anni fatidici che hanno preceduto e seguito la prima guerra mondiale. Rispetto alle rassegne che sono state dedicate a Ghiglia (Livorno 1876 - Firenze 1945) nel 1996 a Prato e Livorno e nel 2008 a Castiglioncello, la differenza sta non soltanto nella strepitosa raccolta di capolavori emersi in questa occasione, ma anche nell’approfondimento degli studi da parte di Elisabetta Matteucci, cui si deve anche il progetto della mostra, e di Vincenzo Farinella.

La molta documentazione emersa, inediti confronti e nuove ipotesi critiche aiutano a chiarire l’unicità di questo geniale autodidatta, interprete di una modernità fondata sulla tradizione, quindi antesignano, quando ancora infuriavano le avanguardie e dominava l’iconoclastia futurista, non solo di quello che nel dopoguerra risuonerà come “il ritorno all’ordine”, ma addirittura di quel realismo magico che avrà negli anni Trenta i suoi protagonisti in Casorati, Funi, Oppi, Cagnaccio, Donghi, quando, per usare le parole del suo ispiratore e teorico, il romanziere Massimo Bontempelli, il segreto della nuova pittura sta nella «precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta».