Dentro l'opera


DALLA FOTOGRAFIA
ALLA PITTURA E RITORNO

di Cristina Baldacci

Un primo piano su opere meno note dal secondo Novecento a oggi, per scoprirne il significato e l’unicità nel continuum della storia dell’arte: Gerhard Richter, Annunciazione da Tiziano

Nel 1972 Gerhard Richter è, artista appena quarantenne (nato a Dresda nel 1932), a Venezia, chiamato a rappresentare il suo paese nel padiglione tedesco alla Biennale. Per l’occasione progetta la serie pittorica dei 48 Portraits, che, memore delle gallerie di uomini illustri rinascimentali, presenta un gruppo di intellettuali della modernità scelti prendendo a modello le loro foto-ritratto in bianco e nero da un comune dizionario biografico.

Durante il suo soggiorno, Richter visita la Scuola grande di San Rocco, un altro “padiglione”, più antico, che ospita un grandioso ciclo pittorico, quello del Tintoretto. È tuttavia folgorato da un secondo capolavoro del Rinascimento veneto che la confraternita della Scuola volle per sé e la città: l’Annunciazione di Tiziano (1535 circa). Il suo primo istinto è di appropriarsi del dipinto, anche soltanto come copia. Torna perciò in studio a Düsseldorf (si trasferirà a Colonia, dove tuttora risiede, soltanto nel 1983) con una cartolina che lo riproduce e, l’anno successivo (1973), realizza cinque diversi oli su tela “d’après” Tiziano: uno in cui il soggetto è ancora riconoscibile, oggi all’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington; gli altri quattro in cui il motivo figurativo si è completamente dissolto nell’astrazione, tutti conservati al Kunstmuseum di Basilea.

I primi anni Settanta rappresentano un periodo di grande incertezza ma anche di assidua sperimentazione per Richter, che mal tollera il diktat antipittorico imposto dagli artisti concettuali. Dopo i Fotobilder degli anni Sessanta - la serie di dipinti figurativi, a cui si rifanno anche i 48 Portraits, che hanno come modelli iconografici fotografie, perlopiù in bianco e nero, “trovate” in vecchi album di famiglia o su riviste -, è il momento delle prime prove astratte, con le serie delle “tavole cromatiche” (Farbtafeln), dei monocromi grigi (Graue Bilder) e delle “sovrapitture” (Vermalungen).

È già da allora ben riconoscibile quella che diventerà una costante della sua pratica quotidiana, «l’infrazione stilistica come principio di stile» («Stilbruch als Stilprinzip»), ovvero un linguaggio camaleontico, fatto di continui rinnovamenti e rielaborazioni, spesso erroneamente interpretato come manierismo. Da un lato, come in questo caso, per l’assidua ripresa formale dei generi e dei temi della tradizione della pittura (filtrata dall’uso delle riproduzioni fotografiche per soddisfare un suo urgente bisogno di oggettività); dall’altro, per l’avvicendarsi di astrattismo e figurazione, che Richter sceglie come duplici strumenti di indagine del reale.