Adolf Hohenstein, Franz Laskoff, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich. A farci caso, è ben curioso che quattro tra i “padri fondatori” del cartellonismo italiano - i più importanti per la loro variegata ma dirompente “modernità” nell’assai attardato contesto grafico dell’ultimo decennio dell’Ottocento - sfoggiassero cognomi “esotici”, indizio trasparente di ascendenze transnazionali. Per approdare tutti alle Officine grafiche Ricordi di Milano scesero infatti dal Nord i primi due: tedesco nato casualmente a San Pietroburgo (e a lungo vissuto poi a Vienna) Adolf Hohenstein, polacco di Bydgoszcz Franz Laskoff. Arrivarono dall’Est gli altri due nominati: da un Est che, per entrambi, si chiamava semplicemente Trieste, la Trieste austroungarica (e “irredenta”), dunque straniera.
Ed è appunto Trieste che, nel centocinquantenario della nascita, rende omaggio - dopo l’esaustiva rassegna su Dudovich (2002-2003) - al suo
amico-maestro-rivale, Leopoldo Metlicovitz o Metlicovich (Trieste 1868 - Ponte Lambro 1944). Una mostra monografica che, proponendo il “tutto
Metlicovitz” (cartellonista, grafico “minore” e illustratore, pittore da cavalletto), vuol suonare come un tardivo risarcimento per un artista che
sempre scontò una sorta di disattenzione o sfortuna critica, in buona parte dovuta a un temperamento modesto, laborioso e schivo (rispetto
all’estroverso e mondano Dudovich, soprattutto). Tanto schivo da non firmare mai i propri cartelloni, se non siglandoli con una L e una M
intrecciate.
Dalle due sedi espositive triestine (il Civico museo Revoltella, che propone la maggior parte dei manifesti, e palazzo Gopcevich, con una selezione dei
molti lavori che Metlicovitz dedicò al mondo dell’opera lirica e dell’operetta: in tutto una settantina di pezzi, anche di ampie dimensioni), la mostra
sarà poi trasferita, nella primavera 2019, all’ancor giovane Museo nazionale Collezione Salce di Treviso, dalle cui sterminate raccolte proverrà la
massima parte dei materiali.