Luoghi da conoscere - Un modello è per sempre

Luoghi da conoscere Villa Adriana a Tivoli UN MODELLO È PER SEMPRE Ha ispirato gli architetti più diversi, come Borromini, Le Corbusier, Kahn, Tadao Ando-, e continua tutt’oggi a essere fonte di riflessione e suggestione. Villa Adriana, a quasi duemila anni dalla sua fondazione, rimane un complesso monumentale che si presta a molteplici letture. Federica Chiappetta, Eugenia Querci illenovecento anni di storia, un gioiello dell’architettura di tutti i tempi che ha lasciato la propria impronta indelebile su architetti moderni e contemporanei: questa è Villa Adriana. Voluta, immaginata e disegnata da Adriano (117-138 d.C.) molto tempo prima della sua elezione a imperatore e fondata immediatamente dopo, fu la sua residenza ufficiale. Da questo luogo Adriano comandò sull’impero dei Cesari. Fu da subito abitata, fin da quando in quell’immenso cantiere si poteva scorgere solamente il Teatro marittimo, simile alla «tenda di un generale al centro di un accampamento » (Eugenia Salza Prina Ricotti). Immersa oggi in un parco di ulivi e cipressi secolari, la villa rappresenta la biografia più attendibile di Adriano, la materializzazione del sogno di un imperatore, il riflesso di un uomo dall’ingegno multiforme e raffinato, intriso di cultura greca e continuamente impegnato a viaggiare attraverso le province dell’impero. M Villa Adriana, vista dall’alto del Teatro marittimo. La progressiva riscoperta della villa, dopo il lungo oblio seguito alla morte di Adriano, era iniziata alla fine del Quattrocento con gli scavi voluti da papa Alessandro VI Borgia. Da allora il tesoro di manufatti, soprattutto scultorei, che la villa poteva offrire, non aveva smesso di affascinare la cultura antiquaria dell’epoca. Ma è dall’occhio attento degli architetti, che della villa scandagliano la pianta, immaginano e ricostruiscono gli alzati attribuendo usi e funzioni, che provengono i contributi più importanti. Posta quattro chilometri a sud di Tivoli in direzione di Roma, la villa di Adriano costituiva un’attrazione solo per i viaggiatori più intrepidi: le sue rovine, a malapena leggibili e riconosciute a lungo come “Tivoli vecchio”, erano state saccheggiate nel Medioevo, ricoperte da una foltissima vegetazione e infestate di vipere. Pianta di Villa Adriana secondo i rilievi storici e i dati archeologici attuali. Ma con il passare del tempo, con l’emergere dei suoi tesori architettonici, Villa Adriana si rivela un eccezionale complesso monumentale che rompe in modo netto con il principio di simmetria, tipico della grande architettura civile e religiosa di Roma, per dare vita a una vera e propria celebrazione delle linee spezzate, delle curve, della libertà d’immaginazione. La villa anticipa il gusto per l’artificio, le linee sincopate manieriste e barocche che ritroviamo nella fantasia creativa di chi, come Francesco Borromini (1599-1667), la descrive come un «tesoro di curiosità e d’invenzione», tornandovi con il pensiero anche durante gli ultimi giorni della sua vita. Il legame di Borromini con Villa Adriana è profondissimo, ne trae ispirazione soprattutto per l’innovativa interpretazione di spazi e forme classiche quale più alto esempio di architettura antica che aveva infranto, piuttosto che confermato, le regole. La fama di Borromini è affidata saldamente a numerosi progetti di chiese, e le quattro più importanti, a Roma (San Carlo alle Quattro Fontane, Sant’Ivo alla Sapienza, Santa Maria dei Sette Dolori e San Giovanni in Laterano), restano a testimoniare il debito che egli ebbe verso la villa di Adriano. San Carlo alle Quattro Fontane di Francesco Borromini a Roma, vista interna della cupola. Francesco Borromini descrive Villa Adriana come un «tesoro di curiosità e d’invenzione» Diversamente da altri eclatanti monumenti romani, Villa Adriana non ha costituito un canone cui uniformarsi o ispirarsi, bensì un luogo di riflessione e suggestione: nel corpo polimorfico e fluido della sua architettura, la mente degli architetti, tra loro più diversi, ha cercato quanto più si attagliasse alle proprie ricerche o alle proprie aspettative. Per la loro vastità e complessità distributiva, le rovine adrianee hanno offerto, e tuttora offrono, una fruizione parcellizzata e frammentata, fatta di prospettive e rivelazioni. Quelle stesse che hanno parlato al cuore e alla mente di Marguerite Yourcenar (Memorie di Adriano, 1951), consegnando ai posteri un’architettura “abitata” dalla letteratura, la cui comprensione strutturale e funzionale continua ancora oggi a essere filtrata dall’immaginazione e dal suo racconto. Il suo prestarsi a molteplici letture spiega come architetti tra loro tanto distanti poterono nutrire un pari interesse per i suoi magnifici resti. Quell’entusiasmo che Borromini e, prima di lui, molti architetti rinascimentali mostrarono per la villa, riemerge con grande forza negli schizzi del giovane Le Corbusier (1887-1965). Dopo aver lasciato ventiquattrenne lo studio di Peter Behrens (1868-1940) per un lungo viaggio in Boemia, Serbia, Romania, Bulgaria, Costantinopoli, Grecia, Italia (le cui impressioni saranno raccolte nel Voyage d’Orient), nell’ottobre del 1911 visitò Villa Adriana: un’esperienza destinata a esercitare una forte influenza sull’evoluzione delle sue teorie e sulla sua futura professione. Il grande muro di spina del Pecile di Villa Adriana, schizzi di Le Corbusier, Carnet n. 5, 1911, da Le Corbusier. Les voyages d’Allemagne. Carnets - Voyage d’Orient. Carnets, a cura di G. Greslieri, Milano-Parigi 1987. Il quinto carnet del suo Voyage è quasi interamente dedicato a Villa Adriana: i trentasette fogli di schizzi a matita, con acute didascalie delle rovine, danno un’idea precisa dell’emozione che quel luogo suscitò in lui; una pianta della villa comparirà come “incipit” al capitolo La leçon de Rome, della sua più famosa pubblicazione Vers une architecture (1923), uno dei testi fondanti del Movimento moderno. La villa come ci appare ritratta negli schizzi, è un’esemplificazione della sua definizione di architettura come «gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi raggruppati sotto la luce», un’orchestrazione di ombre profonde e affondi di luce. Per questa via, l’utilizzo di forme elementari nell’idea creativa e l’uso del calcestruzzo nella costruzione, collegano strettamente la villa di Adriano alle nuove teorie sull’architettura formulate da Le Corbusier. L’architetto svizzero vide la villa come possibile sprone per i moderni progettisti, impegnati nella trasformazione del passato, e ne esaltò l’originalità costruttiva, in contrasto con gli elementi canonici dell’architettura classica, tanto ammirati dai suoi maestri, radicati ancora nella tradizione dell’Ecole des Beaux-Arts. Ritroviamo la villa di Adriano nella luce e nelle ombre della cappella di Notre-Damedu- Haut a Ronchamp in Francia con i suoi spessi muri e le sinuose curve. Per i contemporanei di Le Corbusier, come Frank Lloyd Wright (1867-1959), e dopo di lui ancora per molti architetti, da Louis Kahn (1901-1974) a Tadao Andoˉ (1941), la villa di Adriano resta una fonte inesauribile d’ispirazione. Piano Obus per Algeri (1932), progetti di Le Corbusier da Le Corbusier. Le Grand, a cura di J. L. Cohen e T. Benton, Londra 2008. Le Corbusier, cappella di Notre-Dame-du-Haut (1955), particolare del campanile, Ronchamp (Francia). Kimbell Art Museum a Fort Worth, in Texas, inaugurato nel 1972 su progetto di Louis Kahn e ampliato su disegno di Renzo Piano, con nuova inaugurazione nel 2013; Langen Foundation a Neuss (Germania), progettata da Tadao Ando e inaugurata nel 2004. Villa Adriana diviene l’archetipo di quel procedimento compositivo conosciuto come «concatenazione tipologica» Louis Kahn, dopo il suo soggiorno a Tivoli del 1951, continuò a meditare sulla villa per il resto della vita, definendola «un luogo dell’incommensurabile», una sorgente da cui attingere per ricavare nuove idee, considerandola come la più importante architettura mai costruita. Articolandosi in una sequenza infinita di sale, recinti e cortili, ciascuno dotato di una forma indipendente, Villa Adriana diviene l’archetipo di quel procedimento compositivo, conosciuto dagli storici dell’architettura come «concatenazione tipologica», un processo abituale in quelle architetture che esibiscono apertamente la complessità e la frammentazione delle loro componenti. L’architettura di Kahn fornisce un esempio di questo metodo compositivo. In molti tra i suoi più importanti lavori, egli si pone con insistenza l’obiettivo di scomporre il complesso architettonico nelle sue parti costitutive, cercando di mettere in risalto la forma di ciascuna di esse affinché si manifestino in modo indipendente: il Dominican Motherhouse of St. Catherine de Ricci a Media in Pennsylvania (1965-1968) ne è il maggiore esempio insieme con il Salk Institute for Biological Studies a La Jolla in California (1959-1965). Qui Kahn è ispirato dalla composizione complessa di Villa Adriana, dove legge l’alternanza di strutture lineari e centrali, circolari e cruciformi, combinate secondo uno schema assiale composito e collegate tramite articolazioni puntuali che, come in un ingranaggio, permettono il relativo movimento delle parti, all’interno del complesso stesso. Il Canopo di Villa Adriana. Questo stesso sistema lo ritroviamo guardando attentamente molte planimetrie dei capolavori di un altro maestro dell’architettura contemporanea come Tadao Andoˉ. Benché destinati ad attività profondamente diverse e controllate da logiche formali molto distanti tra loro, le più importanti opere di Kahn e Tadao hanno un’affinità tipologica profonda con la villa di Tivoli. Ma il fil rouge che lega indissolubilmente Villa Adriana a Tadao Andoˉ sta nella strettissima relazione tra l’architettura e la natura: il luogo, la luce e il vento dettano le regole della progettazione; il ruolo predominante svolto dalla vegetazione e il valore architettonico dell’acqua sono la chiave di lettura di molti suoi lavori. Lo possiamo leggere per esempio nei due progetti sull’isola di Naoshima in Giappone: il Benesse House Museum (1992) e il Chichu Art Museum (2004) dove finanche la disposizione dei corpi architettonici e l’adattamento alla configurazione del terreno ricordano la pianta di Adriano. Narrare l’eredità di Villa Adriana ci permette dunque di tracciare la linea di una complessa evoluzione culturale, in termini di estetica e di gusto ma anche, e soprattutto, di composizione architettonica, innovazione costruttiva e perfetta efficienza funzionale, unendo sorprendentemente antichità e modernità. L’eredità architettonica di Villa Adriana, ancora poco conosciuta dal largo pubblico, è tale da potersi considerare importante quanto il patrimonio archeologico-architettonico della villa stessa; per questo il suo racconto, nell’imperdibile ricorrenza dei millenovecento anni dalla fondazione, era stato presentato da chi scrive in un articolato progetto di mostra, proposto all’allora ministro Dario Franceschini e al nuovo direttore della villa, Andrea Bruciati. Un progetto rimasto malauguratamente sulla carta. Louis Kahn, Meeting House del Salk Institute for Biological Studies (1959-1965), schizzo del 1961, da Louis Kahn: the Power of Architecture, a cura di M. Kries et alii, Weil am Rhein 2013. Durante la stesura del progetto Kahn propose di prendere Villa Adriana come modello compositivo. Il Teatro marittimo di Villa Adriana. il piccolo Hotel Oval del Benesse House Museum (1992) progettato da Tadao Ando a Naoshima (Giappone). Villa Adriana Tivoli (Roma) www.villaadriana.beniculturali.it