La pagina nera

L’AFFRESCO SARÀ VILE,
MA PERDERLO È INCIVILE

Montefusco, in provincia di Avellino, è un luogo emblematico sia della ricchezza del “museo diffuso” che caratterizza il territorio italiano, sia dello stato di abbandono in cui troppo spesso è lasciato il patrimonio.


di Fabio Isman

L'unicità del patrimonio storico e artistico italiano non risiede (soltanto) nella quantità, o nell’abbondanza dei capolavori. Non è vero, come si ostinano a ripetere tantissimi stolti, che «possediamo il tot per cento » (spesso, quote incredibili: perfino i sei decimi, o più) «dei beni culturali che esistono » in Europa, se non addirittura al mondo: nel nostro paese non abbiamo inventari completi, né tantomeno ce ne sono per il continente; e paragonare percentualmente due entità ignote, dovremmo saperlo fin dalla scuola media, è esercizio tra i più vani e, se posso, imbecilli. L’autentica unicità del nostro patrimonio è d’essere disseminato d avvero ovunque; e che, sui siti, la vita sia sempre continuata. Per cui, ogni borgo italiano possiede oggi qualcosa di cui andare fiero: una traccia del passato, qualche reperto che lo riconduce alle radici.

Prendiamo il caso di Montefusco. Tantissimi ne ignorano perfino l’esistenza. È un piccolo comune, appena milletrecento abitanti, a cavallo tra le province di Avellino e di Benevento, a settecento metri d’altezza; forse la Fulsulae citata da Tito Livio, ma con tracce di presenza umana fin dal neolitico.