Tra XVI e XVII secolo un fantasma si aggira per l’Europa: è l’orda di vagabondi, mendicanti, ambulanti che una lunga serie di guerre, epidemie e carestie ha lasciato senza casa e senza lavoro. Migranti senza patria in cerca di un po’ di cibo, di una sistemazione, di uno stratagemma per arrivare al giorno dopo.
Nel Cinquecento la povertà aveva iniziato ad assumere dimensione di massa. Nelle città la media del numero di mendicanti sul totale degli abitanti
raggiungeva il venti per cento. In Inghilterra i proprietari terrieri iniziarono ad espellere i contadini privandoli della terra (è il fenomeno delle
“enclosures”). Dilagavano epidemie, furti, rapine, truffe; aumentavano il timore di rivolte sociali e la paura dei poveri: da cui repressioni e
respingimenti. È quella che Marx, nel Capitale (libro I, sez VII, cap 24) chiama «legislazione sanguinosa»: la maniera in cui in Inghilterra si
manifestarono i primi costi sociali dell’incipiente capitalismo. Le pene per chi aveva perso casa, lavoro e terra erano la prigione, la gogna e la
frusta «finché il suo corpo non sia insanguinato» (statuto di Enrico VIII, 1531); pochi decenni dopo si passò alla marchiatura a fuoco con una V
(“vagabond”). La condizione di vagabondo, in una società impoverita e senza lavoro, non aveva molte alternative.
Nel Seicento si passò alla reclusione; nacquero gli Alberghi dei poveri; in molte città si dette inizio a una rieducazione coatta al lavoro per
vagabondi, prostitute, accattoni. Nella casa di lavoro di Amsterdam un ingegnoso sistema riabituava al lavoro i più pigri: chi rifiutava il lavoro
veniva posto in un sotterraneo in cui veniva fatta salire l’acqua. Per sopravvivere il malcapitato doveva azionare una pompa incessantemente.