la parola “finestra” oggi è alla base delle interfacce dei nostri computer. Molto prima per Leibnitz le “monadi” (dal greco “monos”, unico,
singolo) erano mondi chiusi, privi di finestre, sorta di atomi psichici; ancora prima Leon Battista Alberti (De pictura) identificava il
quadro come una finestra aperta sul mondo. Tra questi estremi troviamo immagini, concetti e memorie articolati e in divenire, tuttavia cadenzati
su percorsi e moduli codificati. In pittura la finestra mette in relazione un dentro e un fuori, crea profondità o la annulla, è quadro nel
quadro, separa il protagonista raffigurato, se c’è, dalla scena esterna come noi stessi dall’intera rappresentazione dipinta.
Le avanguardie
del primo Novecento hanno riproposto questo tema in diverse sfaccettature e con significati divergenti. Il cubismo sintetico, la
Metafisica, il surrealismo - nelle articolazioni di una pittura che non vuole riproporre la realtà oggettiva e nemmeno la realtà psicologica del
soggetto - ci pongono, a fronte di immagini ferme, paradigmi visivi in cui gli strumenti della mente escludono quelli delle emozioni o dei sensi.
Emblematiche le opere di Picasso del 1919-1920, successive al viaggio in Italia, come Il tavolo davanti alla finestra, che fa parte di
una ventina di tele dipinte durante un soggiorno con la prima moglie Olga a Saint-Raphaël, sulla Costa Azzurra. Analoghi risultati in Juan
Gris: Natura morta davanti a una finestra aperta, place Ravignan del 1915 e La finestra aperta del 1921. La finestra è qui trattata come
medium, porta di accesso a un fuori configurabile come un altrove, in parallelo con la Metafisica e in anticipo sul surrealismo. In questi e
in altri casi il tema è coniugato assieme a quello della natura morta, fusione tra due diversi modi di interpretare lo spazio: il primo proiettato
sulla profondità, il secondo orientato sullo squadernamento in superficie.
di interpretare lo spazio