Un po’ classico, un po’ moderno, in una sorta di “ambiguità”, sempre alla ricerca di un accordo magico tra forme e colori. Insieme conservatore e rivoluzionario, mentre dipinge l’intimità della sua vita borghese o i paesaggi della memoria. Quasi sempre rassicurante nella sublimazione della routine quotidiana, ma qualche volta malinconico e persino angosciante negli autoritratti. Bonnard l’inafferrabile, dalle “etichette” impossibili, mai attratto dalle avanguardie dei suoi tempi, fossero queste cubiste, surrealiste o astrattiste. «Non appartengo a nessuna scuola», diceva lui affermando la sua autonomia. Per anni è stato definito il «pittore della felicità », suggestivo, facile e piacevole come il mondo che descriveva. Ma guardandola da più lontano la sua opera mostra un dialogo tra passato e futuro e rivela aspetti che vanno oltre il sogno idilliaco di armonia tra uomo e natura e quel desiderio di gioia che certamente apparteneva al suo spirito ma che, nonostante i suoi tentativi di isolamento, doveva lottare e farsi spazio nella realtà e nella sua stessa vita privata. Da qui quelle contraddizioni che insieme alla forza e alla potenza evocatrice dei suoi colori hanno recentemente collocato l’artista francese - tanto disprezzato da Picasso - tra i fondatori dell’arte moderna e contemporanea. «Colui che canta non è sempre felice», annota lo stesso Bonnard il 17 gennaio del 1944, due anni dopo la morte della compagna Marthe, circondato dagli orrori della guerra.
