Esiste un patrimonio di manualità e di eccellenza poco noto le cui testimonianze sono spesso nascoste presso archivi o presso le collezioni di chi
nel tempo ha saputo vedervi una maestria di altissimo profilo.
Tra questi, i documenti della famiglia Musy, orologiai e gioiellieri torinesi
sin dal 1707, conservati presso l’Archivio di Stato del capoluogo piemontese, raccontano una storia di regnanti e di cerimoniali, di sfarzi e di
passioni, di raccolte, di relazioni e di reciproche influenze, segnando epoche e indirizzando i gusti.
Nella storia della gioielleria
italiana tra Ottocento e Novecento la produzione Musy rappresenta un patrimonio, materiale e immateriale, dall’enorme valore artistico, oltre
che economico, più volte messo a confronto con i noti esempi internazionali quali Lalique, Cartier, Gaillard, Mellerio “dits Meller”. La ditta
«rivaleggia con i primi artisti al mondo nella produzione di gioielli e dei lavori in metalli preziosi», scriveva la rivista americana “The
Keystone Holiday Number” nel 1905.
Designer, modellatori, artisti, smaltatori collaboravano all’interno della bottega dove vigeva il rigore
più assoluto per favorire un’organizzazione tecnica che assicurasse la perfezione del prodotto, rispettando i desideri della committenza.
Ogni singolo pezzo narrava
la storia del committente
