Parigi. Il suono del silenzio nella perfezione della solitudine. Eppure non è un senso di pace quello che trasmette Vilhelm Hammershøi, pittore danese vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo scorcio del Novecento. Semmai ci comunica ansia, inquietudine, insieme a una sottile malinconia e al mistero che accompagna sempre tutto ciò che non è razionalmente comprensibile. Come quella figura femminile, abito nero e capelli raccolti sulla nuca, che ci volta le spalle, in piedi davanti a una finestra che immaginiamo possa esserci ma non si vede. Nelle due stanze entra una luce incerta, nebbiosa, e si diffonde attraverso tonalità che vanno dal grigio al bruno. Lo sguardo supera lo spazio delimitato dalla porta aperta e si concentra sulla donna, per fermarsi subito dopo sull’altra porta, questa volta chiusa. Le stanze sono spoglie, tranne due piccoli quadri alle pareti e un tavolo in angolo, seminascosto alla vista. Tutto è rigorosamente fermo, l’atmosfera opprimente, senza tempo.
Inutile chiedersi quali spazi l’artista sta dipingendo e perché la signora in abito nero è ritratta in quella posizione. Hammershøi non ce lo dice nemmeno nel titolo: Interno con donna in piedi. A indicare una scena universale, dalla quale qualsiasi caratteristica privata o confidenziale è stata scrupolosamente estromessa in una sorta di purificazione dell’immagine.
Figure solitarie, quasi sempre femminili e spesso di spalle, “congelate” in eventi inesistenti o incomprensibili dentro spazi vuoti o disadorni, dai colori tenui e monotoni sono un tema costante e fondamentale dell’arte di Hammershøi. Lo ritroviamo, tra le molte altre volte, in Interno, dipinto nel 1899, dove la stessa donna dell’opera precedente, quasi certamente la moglie Ida, ha il viso rivolto verso la nuda parete a cui è appoggiata una stufa. Le porte sono tutte chiuse e il tavolo, totalmente privo di suppellettili, è senza sedie. Nuova composizione, stessi enigmi. Più tardi, in epoca più matura, donne e uomini scompaiono definitivamente in molte delle sue opere, qualche volta sostituiti da un mobile, lasciando spesso la scena a una sequenza di stanze spoglie. In realtà non sembrano essere mai state le persone a interessare l’artista, quanto, piuttosto, un’armonica connessione tra spazi, mobilio ed eventuali figure umane, non importanti in sé, ma solo come parti della elaborazione artistica.
