Appena arrivato a Londra, nel maggio del 1873, si comprò subito un cappello a cilindro, esaltato dalla moda e dagli usi britannici. Vincent van Gogh aveva vent’anni e non aveva mai dipinto un quadro, né immaginava che lo avrebbe fatto. Vendeva stampe nella Goupil Gallery, in Covent Garden, mentre abitava nel quartiere di Brixton - 87 Hackford Road - e doveva fare chilometri ogni mattina per raggiungere la galleria e ogni sera per tornare a casa. Davanti a lui un brulichìo di signori e straccioni, di pompose dame e prostitute, di mercati e musei, carrozze che sfilavano lungo le strade e imbarcazioni che solcavano il Tamigi a tutte le ore del giorno e della notte. Strand ed Embankment diventarono il suo quotidiano teatro di vita in una metropoli con più di tre milioni di abitanti, dove treni, ponti, viadotti e stazioni segnavano l’avvento dei tempi moderni.
«Per me le cose qui vanno bene», scrive qualche mese dopo al fratello Theo. «Ho una bellissima casa ed è un grande piacere osservare Londra, il modo di vivere inglese e gli inglesi stessi. E ho anche natura, e arte, e poesia. Se questo non è abbastanza, cos’è?». Più tardi, nel 1875, quando sarà trasferito nella sede Goupil di Parigi, scriverà ancora a Theo con nostalgia: «Quanto amo Londra!».
L’Inghilterra, da parte sua, sarà più diffidente e scoprirà tardi il genio creativo di Van Gogh. Più tardi rispetto al resto del mondo. Se il 1910 può essere considerato l’anno del suo ingresso ufficiale in terra britannica, con venti opere esposte nella mostra Manet and the Post-Impressionists alle Grafton Galleries, in realtà l’accoglienza non fu delle migliori. A dire il vero nessuno, che fosse Cézanne o Gauguin, Matisse o Picasso, venne considerato degno di apprezzamenti. Alcuni giornali parlarono di loro come di un gruppo di comici venuti per portare divertimento in tutta Londra, mentre altri scrissero che solo gli studenti di patologia o gli specialisti in abnormità potevano trovare interesse in quegli orrori della pittura moderna. Per Van Gogh, però, i giudizi furono anche più caustici, in quanto “lunatico” e “pazzo”.
