I pittori olandesi del Secolo d’oro appaiono perlopiù interessati alla riproduzione il più possibile esatta dell’esteriorità delle cose, ai meccanismi della visione, a una sorta di geografia descrittiva del reale; a Rembrandt tutto questo sembra non interessare; gli interessano i paesaggi interiori, le verità nascoste. I suoi colleghi si specializzano in particolari generi pittorici e amano le scene di vita quotidiana, Rembrandt no, pratica soggetti storici, mitologici, religiosi, il ritratto. Dal Quattrocento in poi una tendenza tipica della pittura olandese dei Paesi Bassi è la divinizzazione dell’umano, con soggetti comuni elevati a simboleggiare il divino (semplici madri col loro figlioletto; veri falegnami che diventano san Giuseppe, parafuoco di paglia che diventano aureole…); Rembrandt fa il contrario, rende umano il divino. L’accostamento delle due dimensioni è organico alla visione calvinista di contatto diretto tra sacro e quotidiano, ma nessun artista come Rembrandt rende evidente che il mondo è uno solo: sacro e profano, alto e basso, nobile e volgare, santo e terreno, presente e passato coabitano, sono attorno a noi.
La grande mostra con cui il Rijksmuseum celebra i trecentocinquant’anni dalla morte di Rembrandt van Rijn (Leida 1606 - Amsterdam 1669), All the Rembrandts, mette in scena questa unicità rendendo chiare le ragioni per cui questo artista appare come un monolite isolato in un contesto culturale, il Seicento olandese, che pure da lui non può prescindere e solo grazie a lui può essere compreso compiutamente. Il percorso della mostra conduce passo dopo passo nel labirinto psicologico, creativo, esistenziale di un artista profondo e inafferrabile. E lo fa esibendo tutti insieme i ventidue dipinti (uno in comproprietà col Louvre), i sessanta disegni e trecento incisioni (una selezione delle milletrecento esistenti nella collezione) che rappresentano il patrimonio rembrandtiano del museo.
Si tratta di un’occasione per rivedere insieme capolavori notissimi, come la Ronda di notte, i due ritratti di
Marten Soolmans e Oopjen Coppit, I reggenti della gilda dei drappieri, La sposa ebrea, ma soprattutto per abbracciare
l’opera dell’artista nella sua grandiosa complessità, e di apprezzarne anche opere meno viste.
