ARTE E POLITICA IN ITALIA. TRA FASCISMO E REPUBBLICA
Michele Dantini (1966) è della generazione che può fare i conti col fascismo e la Prima Repubblica con discreto distacco. La sua visione critica si
basa sull’analisi capillare delle fonti, sorretta, ci pare, anche dalla sua duplice formazione filosofica e storicoartistica, che lo rende capace di
spaziare con ampiezza di vedute nell’ambito ancora oggi assai dibattuto della nostra storia recente, intesa nella più articolata accezione di vicende
legate a politica, letteratura, giornalismo, critica, arti figurative. Può tessere così una trama fitta di rimandi fra l’uno e l’altro degli ambiti,
che anzi, non è più possibile scindere. Fin da subito annuncia che il libro corrisponde alle prime tre giornate di un affresco più ampio, che comporrà
con studi successivi. Qui tratta di tre saggi sulle relazioni fra arte e politica, e sull’eventuale continuità di istanze dal ventennio fascista al
secondo dopoguerra e la Prima Repubblica. Il primo saggio riguarda l’ideologia e l’attività poliedrica, talvolta contraddittoria e comunque non
lineare, di una figura enigmatica e colta, il cattolico antifascista Edoardo Persico, scomparso nel 1936 in circostanze ancora da chiarire, che, fra
le altre cose, detestava Marinetti, dedicò una monografia a Fontana e fu anche critico nei confronti del Concordato. Secondo e terzo saggio esaminano
le politiche dell’arte di Giuseppe Bottai (che fu giovane allievo di Longhi) fino a convincenti punti di vista sugli sviluppi dell’arte in Italia nel
dopoguerra, alla luce degli studi di Renzo De Felice, grande storico del fascismo, il cui insegnamento ha influito sull’arte italiana più di quanto
non si pensasse. Tutti e tre i saggi esaminano la liturgia politica dell’arte, cioè l’adozione pubblica delle immagini; analizzano rimozioni
storiografiche lampanti, discutono e talvolta ribaltano luoghi comuni su fascismo e antifascismo, sul ruolo dei futuristi, su intellettuali come
Soffici, Croce, Gentile, ma anche Montale, su artisti come Rosai ma anche Garbari e Fontana, su dissidenti esterni o interni, ovvero chi “combatté” il
regime dall’estero, oppure chi lo fece non senza ambigui ritardi, come Venturi, o chi invece vi rimase, come Persico.