Ventinove gennaio 1781. Un secolo e più di Stati uniti europei dalla musica culmina al Teatro di corte (adesso
Teatro Cuvilliés) della Residenz di Monaco. Va in scena Idomeneo, re di Creta, ossia Ilia e Idamante, opera seria in tre atti dell’abate
Giambattista Varesco, musica di un giovanotto di belle speranze e solido presente, Wolfgang Amadeus (familiarmante detto “Amadé”) Mozart, un «nativo
di Salisburgo», come lo chiamò nella sua recensione, senza nominarlo, la gazzetta locale, “Münchner Staatsgelehrten und vermischten Nachrichten”
(maledetti giornalisti, già allora). L’opera porta il numero di catalogo K. 366, con il senno e il Köchel di poi, è il primo dei sette grandi
capolavori operistici di Mozart e, forse, il più splendente.
E capolavoro europeo. Si canta, come ovunque in Europa, in italiano. Ma il
soggetto è francese. L’abate Varesco aveva adattato un vecchio libretto di Antoine Danchet per André Campra, Idoménée, rappresentato a
Parigi nel remoto 1712, insomma l’usato sicuro. Francese la fonte e per molti aspetti francese la drammaturgia, con cori gluckiani e l’opera che
termina con un balletto rappacificatore ed encomiastico. Tedesca, però, la scrittura strumentale. Dopo la Guerra di successione bavarese,
l’elettore Karl Theodor si era portato a Monaco da Mannheim la sua orchestra, la migliore della Germania, incunabolo dello stile classico e del
grande sinfonismo nascente. E poi, benché la nostra percezione sia falsata, e Mozart e Goethe ci appaiano di due epoche diverse,
I dolori del giovane Werther erano già stati pubblicati da sette anni, e l’età della “sensibilità” stava già diventando romantica. Ma, si diceva, Idomeneo è anche una
grande opera seria italiana. Non solo si canta in italiano, ma all’italiana. Fra i protagonisti, italiano era solo Idamante, «il mio molto amato
castrato [Vincenzo] dal Prato», come lo chiama Mozart, un eunuchino diciottenne che lo faceva impazzire perché era molto inesperto, recitava male, e
alla fine risultava «corrotto fino al midollo». Ma le altre prime parti, le favolose sorelle Dorothea ed Elisabeth Wendling, che furono
rispettivamente Ilia ed Elettra, e il glorioso tenore Anton Raaf, Idomeneo, sessantasei anni ma «un tipo degno e rispettabile sotto tutti i punti di
vista», compreso quello vocale, erano tedeschi italianati. L’opera è anche una celebrazione del belcanto, culmine quella funambolica aria “di
tempesta”, «Fuor del mar ho un mare in seno», dove il vecchio Raaf faceva miracoli in quelle che Mozart chiamava «geschnittenen Nudeln», tagliatelle
spezzettate, i rapidi passaggi che evocano il mare infuriato in un vortice di colorature spericolate.
