«Pictor florentinus», Leonardo da Vinci si definì per tutta la vita, sin negli ultimi documenti. Ma nel comune sentire, in cui la verità storica si mescola con la “vox populi” e la leggenda in una serie incontrollabile di contaminazioni, Leonardo è milanese. O magari francese. Questo, non senza ragione: perché dei suoi reiterati soggiorni a Milano rimasero tangibili testimonianze artistiche, specie la pittura murale (esangue e tuttavia potente) dell’Ultima cena in Santa Maria delle Grazie. E il suo trasloco in Francia nel 1516, a tre anni dalla morte, procurò alla corona ben sei quadri eccelsi, oggi al Louvre, compresa la mitica Monna Lisa.
A Firenze, la città nel cui dominio ebbe i natali ad Anchiano presso Vinci, restano dei suoi dipinti solo i tre riuniti negli Uffizi: il Battesimo di Cristo del Verrocchio, dove fu autore di interventi parziali; l’Annunciazione, giovanile e acerba; e l’Adorazione dei magi, di geniale originalità, rimasta però interrotta. Il nucleo dei disegni negli Uffizi è visibile in circostanze espositive speciali, com’è giusto che sia, e la Battaglia d’Anghiari sopravvive nelle forme del ricordo, quasi come un fantasma senza pace, che talora torna a manifestarsi.In questo 2019, in cui si celebra Leonardo a mezzo millennio dalla morte (il 2 maggio 1519 nel castello di Clos-Lucé ad Amboise, fra le braccia - secondo il racconto di Giorgio Vasari - del re Francesco I), è parso ai massimi vertici cittadini che gli si dovesse rendere omaggio, riportando la sua memoria in una dimora temporanea e tuttavia nobile quale solo Palazzo Vecchio - sede del governo cittadino nel passato e nel presente - poteva rappresentare. E qui, nella Sala dei gigli, viene offerta ai visitatori la mostra Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico, che espone dodici fogli estratti da quella straordinaria miscellanea che è il codice, approdato dopo alterazioni e traversie nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano: un manoscritto composto di millecentodiciannove fogli in massima parte autografi, dai soggetti più diversi, raccolti da Leonardo nell’arco di quarant’anni di vita. Ai dodici fogli si accompagna un quadro: Testa di Cristo Redentore soffuso d’inquieta bellezza della Pinacoteca Ambrosiana, mai visto prima a Firenze benché proprio qui sia stato restaurato. Esso fa riferimento a uno strettissimo collaboratore di Leonardo, il lombardo Gian Giacomo Caprotti (detto Salaino o Salaì, diavoletto), il quale, seguendo Leonardo nelle sue peregrinazioni eccellenti, fu con lui anche a Firenze nel 1503-1508.
