Blow up


PELLEGRIN,
BASILICO, NEWTON

di Giovanna Ferri

Nelle sue immagini c’è l’anima di un istante, il respiro di un frammento di vita, la forza, il coraggio, l’istinto di sopravvivenza, la solidarietà, la guerra, la crudeltà. Gli aspetti migliori e quelli peggiori dell’essere umano. E c’è la volontà di unire alla capacità di documentare e trasmettere informazioni - propria del linguaggio fotografico - il sentimento, l’emozione vissuta di chi sta dietro l’obiettivo. Due livelli parimenti importanti nell’approccio di Paolo Pellegrin (1964), membro di Magnum Photos dal 2005, vincitore di dieci World Press Photo Award e di numerosi altri celebri riconoscimenti internazionali come l’Eugene Smith Grant in Humanistic Photography e il Robert Capa Gold Medal Award. Viaggiando in tutto il mondo, il fotografo romano ha raccontato emergenze umanitarie, conflitti, storie di uomini, donne, bambini, profughi, rifugiati, soldati, migranti, dal Kosovo alla Cambogia, dall’Iraq a Gaza. Testimonianze «non finite», come lui stesso definisce i suoi scatti, dove l’intento è quello di evocare, «lasciare qualcosa di non detto» per permettere allo spettatore di entrare in contatto con l’immagine e, in un certo senso, di completarla, farsi delle domande, trovare le proprie risposte, per stimolare un dialogo senza fornire letture univoche. Opere “aperte”, quindi, che trovano nutrimento grazie all’occhio dell’osservatore come quelle, in parte inedite, esposte nel Palazzo comunale di Pistoia dal 24 maggio al 30 giugno in occasione della decima edizione del festival Pistoia - Dialoghi sull’uomo (dal 24 al 26 maggio) nell’ambito della mostra Paolo Pellegrin - Confini di umanità a cura di Annalisa D’Angelo (www.dialoghisulluomo.it).