Grandi mostre. 5
Andrea del Verrocchio a Firenze

FUORI
DALL’OMBRA

Scultore e pittore, imitato negli anni Settanta del Quattrocento da una folta schiera di artisti - da Leonardo da Vinci a Perugino a Ghirlandaio, da Bartolomeo della Gatta a Piermatteo d’Amelia - Andrea del Verrocchio, punto di riferimento con la sua bottega per la sperimentazione di tecniche e materiali diversi, è protagonista, per la prima volta, di un’esposizione qui raccontata da uno dei curatori.


Andrea De Marchi

Quando l’orafo Benedetto Dei nel 1470 nelle sue Memorie enumera le botteghe e le bellezze della città di Firenze, un solo artista compare due volte, sia fra i pittori, sia fra gli scultori «i quali anno fatto le gra[n] cose che si veggono nella città di Firenze et etiandio in più e più parte della ricca e degnia Toscana le quali non si possono negare»: Andrea di Michele, detto del Verrocchio, dal nome dell’orafo Francesco di Luca del Verrocchio con cui si era formato verso il 1455, o “Andrea della palla”, per l’ardita impresa della palla in rame dorato issata al vertice della cupola del Brunelleschi. Ed egli soggiunge: «nota che i detti sono stati i maestri d’Italia all’età di Bened[ett]o Dei l’anno 1470», sottintendendo l’orgoglio per quanto si faceva in una Firenze che era il centro del mondo, come Roma nel 1510 o Parigi nel 1910. Nessun artista prima di Michelangelo è stato organicamente scultore e pittore al contempo come il Verrocchio; nemmeno coetanei come Antonio Pollaiolo, che a un certo punto demandò al fratello Piero la specializzazione nel campo pittorico, o come il senese Francesco di Giorgio, che mise un po’ a margine questo secondo mestiere. Eppure la sua grandezza anche come pittore non è universalmente riconosciuta, non è nemmeno chiaro cosa abbia effettivamente dipinto. Le sue due sole opere pubbliche, il Battesimo di San Salvi (ora agli Uffizi) e la Madonna col Bambino e due angeli (Madonna di Piazza) di Pistoia (ricostruita in mostra con la predella divisa fra il Louvre e il Worcester Art Museum), sono in gran parte spurie, l’una iniziata con l’aiuto di collaboratori e finita da Leonardo, l’altra commissionata nel 1475, ma dipinta dieci anni più tardi dal ben più modesto Lorenzo di Credi, cui lasciò in eredità i beni della sua bottega.

Negli anni Settanta un’intera galassia di maestri, scultori ma specialmente pittori, imitarono il suo linguaggio, innervato di una tensione formale sconvolgente, capace di condensare la vita e il movimento in immagini esemplari, di distillarle secondo un’eleganza suprema e cristallina.