La bocca semiaperta, lo sguardo perso chissà dove, la spada nella mano destra, cesti e fagotti nell’altra, uno scrigno sotto il braccio, Margherita sembra in fuga da qualcosa. Veste una corazza e ha un elmetto in testa, sembra ansimante; tutto attorno un’apocalisse di fuoco, mostri, demoni, soldati e donne inferocite. Chi è Margherita, la Pazza, o Dulle Griet, in fiammingo? Karel van Mander, uno dei primi biografi di Bruegel, nel 1604 così descrive la scena: «Dulle Griet, che guarda la bocca dell’inferno». Già, ma tutto il resto?
Con la Caduta degli angeli ribelli e il Trionfo della Morte, Dulle Griet appartiene a un gruppo di opere delle stesse dimensioni (117 x 162 cm), correlate fra loro – forse da una stessa committenza – e dipinte da Pieter Bruegel il Vecchio fra il 1561 e il 1563. Una triade di tavole centrate su altrettanti ammonimenti morali: rispettivamente la superbia che porta alla perdizione; l’inutile vanità delle cose terrene, destinate a essere spazzate via dalla fine di tutto; l’avidità che conduce alla follia e al capovolgimento di ogni regola razionale. Che è il tema della nostra Griet.
Un proverbio fiammingo racconta di una donna che «poteva andarsi a prendere l’inferno e uscirne sana e salva». Griet è un personaggio umoristico della cultura fiamminga, e incarna quel tipo di figura femminile, una virago dai modi spicci protagonista di farse teatrali, motti di spirito, stampe e dipinti in cui si allude a un capovolgimento dei ruoli tradizionali. È un “mondo alla rovescia” che inverte gli stereotipi, con la donna che veste i panni del padrone di casa, detta legge in famiglia, sottomette il maschio. Qui la vediamo trascinare con sé il frutto di una razzia compiuta insieme a una banda di altre donne impegnate a malmenare demoni e soldati.