La pagina nera


L’ANTICO CONVENTO
È SOLO UN LAMENTO


A Viterbo una chiesa e un monastero hanno trovato tutto fuorché la pace. Tra passaggi di mano, furti, razzie, demolizioni, trasformazioni, il grande complesso dal 1995 versa in uno stato di totale rovina. E la Regione Lazio, che pare voglia riacquistarlo (dopo un primo possesso improduttivo), riuscirà a trovare una via d’uscita?


di Fabio Isman

Questa è una storia di gravissime dimenticanze pubbliche; di non meno pesanti furti, razzie e manomissioni (soltanto con pochi salvataggi in extremis); di un passato assai nobile, degno di ben altre cure alle quali si è dovuto rinunciare, che ora non esiste più. C’erano una volta a Viterbo una chiesa e un monastero. E la storia parte da lontano. Nel 1242 Federico II assedia e prende la città; si fa costruire un sontuoso palazzo che, nel tempo, è abbandonato e va in rovina; il vescovo di Viterbo, il cardinale Raniero Capocci, lo fa demolire. Nel 1310 il terreno va ai monaci armeni di San Basilio, perché vi erigano una chiesa e un ospedale, dedicati ai santi Simone e Giuda; dopo dieci anni, però, danno forfait; in uno studio del 1999, padre Adolfo Porfido, che cita antichi scritti, dice: per le «continue guerriglie cittadine, e i continui disturbi che turbavano la quiete degli abitatori». A loro succedono i gesuati, le terziarie francescane e, da fine Quattrocento, le clarisse, che detengono il complesso fino al 1909, anzi, inglobano altre porzioni di terreni e fabbricati. Poco prima che esse lo acquisissero, sempre secondo padre Porfido, «parte delle suore del vicino monastero di Santa Rosa penetrarono furtivamente nel recinto dei locali, per impossessarsene; ma il loro poco edificante esempio fallì».

Le povere clarisse vivono anche qualche paura: quando Viterbo è occupata, nel 1527, «dalle truppe ispano-tedesche, il monastero fu saccheggiato e derubato»; e nel 1810, sotto la dominazione napoleonica, «con dolore» devono lasciare convento e abito: «Il confessore, Serafino da Caprarola, per non aver voluto prestare giuramento, fu confinato in Corsica. Ma, caduto Napoleone, le suore disperse ritornarono al monastero, “con giubilo e contento”». Il luogo e le occupanti passano indenni anche il periodo risorgimentale, benché, con la Repubblica romana, il convento sia «invaso dai rivoluzionari».