Star degli impressionisti, eppure donna riservata, e artista pronta a mettersi in gioco fino alla maturità, Berthe Morisot (1841-1895) pare non vivere un gran periodo sul mercato. Oggi nessuno dubita del suo talento, che iniziò a coltivare fin da giovanissima, da rampolla di famiglia altoborghese e discendente del grande pittore Fragonard. Cercò fin da subito, ma senza forzature, di seguire le ultime tendenze e, dopo aver intrapreso un percorso tradizionale di avvicinamento all’arte, si legò a Corot e sotto la sua guida si dedicò alla pittura all’aperto, alla ricerca del binomio luce-colore.
Nonostante le si aprissero le porte dei Salon accademici in cui non esitò a esporre, Berthe era ormai pronta a virare verso l’impressionismo e a creare un connubio intenso con alcuni fra i suoi maggiori esponenti. Posò spesso per Manet, conobbe il fratello del pittore e lo sposò, aprì la sua casa a intellettuali e artisti come Degas e Fantin-Latour. Dalla metà degli anni Settanta e per un buon decennio sfruttò al meglio i suoi talenti diventando una delle principali pittrici impressioniste insieme a Mary Cassatt, ma muovendosi in modo discreto, non dirompente, spesso declinando la sua arte e la sua vita al femminile. Non a caso volle che fosse scritto sulla sua lapide semplicemente: «Berthe Morisot, vedova di Eugène Manet» senza ricordare la fama che la circondava da tempo, rinchiudendosi in un ruolo tradizionale di moglie.
La sua natura di artista innovativa in un contesto sociale tradizionale emerge in Nascondino del 1873, in cui una madre – la sorella della Morisot – gioca con sua figlia riparandosi dietro a un piccolo albero di ciliegio. Il vezzoso ombrellino della donna, gli eleganti vestiti bianchi di ambedue i personaggi, in contrasto con l’alta erba verde, ne farebbero un quadro di genere, e comunque non tale da urtare i benpensanti del tempo, tanto è vero che la critica tradizionalista lo accolse favorevolmente. Lo stile era però chiaramente legato alla lezione del grande Edouard Manet, con l’uso di un limitato numero di colori utilizzati sapientemente per porre in risalto alcuni elementi (gli abiti delle figure principali) e con una pennellata quasi tremante. Interessante la presenza in alto a destra dell’estremità di un ramo, a indicare che il quadro fa parte del grande affresco della natura e della realtà di cui riprende solo un frammento.
L’opera venne inserita nella prima mostra degli impressionisti nel 1874 e passò da una serie di collezioni celebri a partire da quella dello stesso
Edouard Manet, per passare poi a quella del gallerista Ambroise Vollard e alla raccolta della scultrice e mecenate americana Gertrude Vanderbilt
Whitney, fondatrice nel 1931 del Whitney Museum of American Art di New York. Venne esposta spesso di qua e di là dell’oceano, dalla National Gallery di
Washington alla Tate di Londra. Offerta in asta da Sotheby’s a New York il 10 maggio 1999, fu venduta per 3,3 milioni di euro polverizzando la stima
iniziale. Riproposta nella stessa casa d’asta appena un anno dopo, il 9 novembre 2000, venne scambiata per oltre 5 milioni di euro, con una
rivalutazione fantastica; ma riproposta ancora da Sotheby’s a New York il 2 novembre 2005 venne pagata 4,4 milioni di euro, registrando una flessione.
Certo, nel frattempo il dollaro si era svalutato e quindi in termini di valuta locale il risultato non fu negativo, ma neppure un granché.