C'è una linea sghemba, una sorta di largo meridiano cinematografico, che attraversa l’Europa da nord a sud e che va dalla Finlandia alla Grecia e passa dalla Lituania, dalla Polonia, sfiora la Russia e trova nel cinema ungherese di Béla Tarr il punto di snodo, con possibili derivazioni a sud in Turchia (Nuri Bilge Ceylan). Si tratta di una certa idea di cinema contemplativo, sospeso (a volte estenuante come nel caso del lituano Šarūnas Bartas), fatto di piani sequenza lentissimi quasi impercettibili ma memorabili (elegiaci nel russo Sokurov, o maestosi nel maestro ellenico Anghelopoulos). Con rari momenti di bizzarra, grottesca, quasi farsesca allegria (il finlandese Aki Kaurismäki, lo svedese Roy Andersson), più spesso intrisi di un’angoscia esistenziale che a volte si fa cosmica o metafisica. Su tutti e in tutti una volontà di dominio estetico e visivo totali propri solo dei grandi della fotografia e della pittura: il caso più noto è Cold War del polacco Pawel Pawlikowski. Questo meridiano cinematografico ha il suo snodo più estremo, come si è già detto, in Ungheria col grande Béla Tarr di cui non molto tempo fa è uscita in Italia, finalmente in un unico cofanetto, la quasi intera opera filmica in dieci dvd.
