Rudolf Stingel, protagonista assoluto della mostra in corso alla Fondation Beyeler, riduce, come di consueto, il suo parlato a poche righe: «Sono restio a concedere interviste. Le parole stentano a uscire dalla mia bocca, e dalla mia penna. Forse tra un paio di decenni scriverò le mie memorie. Per il momento posso condividere con gli altri soltanto il mio lavoro. Tutto quello che ho da dire sull’arte e sulla vita è contenuto lì».
Lo sapevamo, dunque, che l’artista di Merano (1956) - Rudy per pochi eletti - sarebbe stato imprendibile. Anche se vedendolo avanzare tra il verde del
parco Berowel, a passo agile, aveva dato l’impressione di una certa disponibilità. Invece, due parole, e si è volatilizzato nel bosco. Come avrà fatto
la signora Paula Cooper, la mitica gallerista newyorchese, da anni grande estimatrice di Stingel durante i suoi lunghi soggiorni nella Grande Mela, a
vincere tanta ritrosia?
Nel 1991, proprio a New York, in occasione della sua prima personale, Stingel usa per la prima volta un tappeto arancione fluorescente per ricoprire il
pavimento di tutta la Daniel Newburg Gallery. L’arancione era talmente acceso che il riflesso sulle pareti bianche le faceva sembrare rosa, creando un
effetto quasi optical. Poco più tardi in altra sede presenta nuovamente una variazione sul tema del tappeto monocromo, che questa volta però riveste una
parete espositiva. Mentre prima le visitatrici e i visitatori della Daniel Newburg Gallery avevano lasciato involontariamente le loro impronte sul
tappeto steso per terra, ora sono invitati a lisciare o arruffare la superficie del tappeto con le loro mani come fossero grandi pennelli.