Studi e riscoperte. 3
Péladan e il mito di Leonardo tra Otto e Novecento

TRA SFINGI, MAGHI
E ANDROGINI

Nel cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, presentiamo qui un contributo originale e poco conosciuto sulla sua figura: il mito che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto in Francia, si sviluppò intorno al genio toscano attraverso le opere di poeti, letterati e pittori. A cominciare dall’eccentrico poligrafo Joséphin Péladan.


Marco Cianchi

Acinquecento anni dalla morte di Leonardo, celebrato in Italia e nel mondo come straordinario punto di incontro tra arte e scienza, potrebbe sembrare un sacrilegio tornare a quel particolare fenomeno culturale che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto in Francia, in ambito decadentista e simbolista, vide stabilirsi una speciale sintonia tra i poeti, i letterati, i pittori e il mito di Leonardo. Un Leonardo da poco riscoperto e ancora “disponibile” a un approccio creativo e non scientifico. Quindi non il Leonardo degli storici, degli studiosi, degli archivisti, ma il Leonardo degli artisti: libero, fantastico, irreale, a volte grottesco, spesso morboso, che tra sfingi, maghi, androgini si rispecchia nella loro immaginazione.
Il mito di Leonardo è stato principalmente il mito della Gioconda. Su questo quadro, e in particolare sul suo misterioso sorriso, si è scatenato, a cominciare dalla metà dell’Ottocento, un incredibile profluvio di parole, sentimenti, ansie erotiche, fino a generare una vera e propria isteria collettiva(1).

Ormai da parecchio tempo, tuttavia, si tende a ridimensionare quel mito così eccessivo e fuorviante. Per esempio Martin Kemp, uno dei massimi studiosi di Leonardo, nel suo recente libro Mona Lisa(2) non solo riconferma sostanzialmente il racconto di Vasari (da altri messo in dubbio) ma appoggiandosi alle ricerche d’archivio del fiorentino Giuseppe Pallanti riporta Lisa del Giocondo nella Firenze del Cinquecento. Mentre sul quadro, che è cosa diversa dalla persona, ci dice che da ritratto incompiuto è diventato nel corso della sua lunga gestazione (1503-1518) un dipinto-sintesi delle molteplici conoscenze accumulate da Leonardo nel corso della sua vita.

E il sorriso viene giustamente ricondotto all’immagine muliebre nella letteratura cortese e allo sforzo di Leonardo di dare un’anima al volto. Infine, riportando le parole del testamento (1537) di Francesco del Giocondo, il marito di Lisa, ci fa sapere che egli considerava sua moglie Çmulier ingenua», ossia donna semplice, onesta.