Il 22 febbraio 1919 un caustico articolo di Roberto Longhi apparso su “Il Tempo” di Roma, intitolato Al dio ortopedico, stroncava senza pietà la pittura di Giorgio de Chirico. Criticava, in particolare, la trentina di dipinti metafisici esposti pochi giorni prima presso la Casa d’arte Bragaglia in una mostra corredata da uno scritto dell’artista, Noi metafisici, pubblicato su “Cronache d’attualità”. Era una bocciatura beffarda e totale, che il giovane de Chirico non s’aspettava. Aveva invitato speranzoso il critico, di un paio d’anni più giovane, avevano preso persino un caffè insieme alla pasticceria Bussi, come racconta nelle Memorie. Invece, pochi giorni dopo, era arrivata una gragnuola di colpi bassi contro i suoi manichini «d’accademia o di sartoria» rinvenuti, secondo Longhi, «nelle sacre vetrine degli ortopedici».
A indirizzargli del veleno sarà anche, nel 1928, il surrealista André Breton. Poi c’era Picasso che l’aveva definito con ironia «il pittore delle
stazioni» per i quadri dipinti nel 1913 ispirati alla stazione parigina di Montparnasse.