Blow up


BERENGO GARDIN, ERWITT,
FOTOGRAFIA/INDUSTRIA

di Giovanna Ferri

Di lui sono noti gli scatti di Venezia, Parigi, Milano, ma Roma dove visse dal 1940 al 1946 ha segnato l’inizio della sua vocazione. Un inizio in piena guerra con i tedeschi che, presenti in ogni angolo della città, imposero ai civili la consegna delle armi e delle macchine fotografiche. In casa di Gianni Berengo Gardin (classe 1930), ligure di nascita e veneziano di origini, c’era una Ico a soffietto, usata dalla madre. Lui, allora adolescente, testardo e ribelle, decise di eseguire l’ordine solo dopo aver fatto due, tre rullini in giro per Roma. Quei rullini sono andati perduti ma il ricordo di quell’esperienza legata al senso di rivendicazione della libertà e alla curiosità di scoprire il mondo non l’ha mai abbandonato. Narratore di storie, Berengo Gardin è per la prima volta protagonista di una mostra, a cura di Giuliano Sergio, dedicata interamente alla capitale (Roma, Roma, Casale di Santa Maria Nova, fino al 12 gennaio 2020, www.parcoarcheologicoappiaantica.it), conosciuta da ragazzino, impressa saldamente nella sua memoria, e successivamente fotografata, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta durante la ricostruzione. L’obiettivo di Berengo Gardin la documenta, come si legge nel catalogo dell’esposizione (sviluppata attraverso settantacinque immagini), «con la massima leggerezza e duttilità, senza scivolare nel luogo comune». Uno sguardo che diede la possibilità al fotografo italiano di essere tra i principali collaboratori del settimanale “Il Mondo” diretto da Mario Pannunzio e tra i più importanti interpreti del dopoguerra. Capace con la sua forza poetica, con il suo approccio equilibrato e sottile di ripercorrere la storia di una città e dei suoi abitanti, di catturarne le trasformazioni in piccoli gesti, atteggiamenti: un paesaggio umano, lontano dal palcoscenico della dolcevita e dei personaggi noti, che non tralascia mai i luoghi in cui i protagonisti di quegli scatti si muovono.