Achi gli chiedeva quali artisti lo avessero suggestionato nella feroce deformazione dei corpi, rispondeva che i suoi dipinti venivano solo dalla sua mente e dalla sua “euforica disperazione” e che comunque la vita era molto più violenta dei suoi quadri. «La nostra esistenza è protetta da una serie di veli. Quando la gente dice che il mio lavoro appare violento, forse è perché sono riuscito a sollevarne un paio», disse in un’intervista a David Sylvester, critico d’arte inglese scomparso nel 2001. In effetti Francis Bacon, artista costantemente fuori misura nella sua ossessiva esplorazione del corpo, è sempre rimasto isolato, sia nel corso della sua lunga vita vissuta per la maggior parte a Londra e terminata a Madrid nel 1992, sia dopo la morte, a seguito della quale ha lasciato un’eredità artistica senza seguaci. Autodidatta, mai tentato dall’astrazione, che invece dominava la scena delle avanguardie dopo il 1945 e che lui considerava meramente decorativa, Bacon elabora uno stile personale, da una parte affascinato dalle tradizioni artistiche del passato, dall’altra impegnato in un processo creativo che rivoluzionava le forme nell’intento di “intrappolare” l’energia della realtà e provocare emozioni. L’idea era quella di “aprire le valvole del sentimento”, creare una realtà artistica artificiale e inquietante che non avesse più niente dell’illustrazione ma che proprio per questo fosse più immediata.