È la prima opera che si presenta davanti agli occhi dei visitatori ed è il primo momento di confronto con colui
che viene considerato da studiosi e critici come un artista completo e uno spirito libero, capace di trasferire le sue abilità creative da un’arte
all’altra. Albion Rose (1793 circa), l’esuberante visualizzazione della fondazione della Gran Bretagna (Albion ne è appunto l’antico nome),
in contrasto con la commercializzazione, l’austerità e il populismo grossolano dell’epoca, appare in tutta la sua rilevanza storica. Un’accoglienza
potente, che detta subito i toni di una mostra che racchiude qualcosa di epocale per la scena artistica inglese ma non solo:
William Blake alla Tate Britain di Londra fino al 2 febbraio 2020.
La personificazione di Albion, una figura nuda nello sfondo di un
cielo multicolore, una sorta di arcobaleno che sembra esplodere intorno alle sue braccia tese, è però solo la copertina di quella che potrebbe
essere letta come una lunga enciclopedia visiva distribuita su oltre trecento opere, tra acquerelli, disegni, schizzi, dipinti e documenti inediti
di grande valore, provenienti da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. La curatela di Martin Myrone e Amy Concannon (rispettivamente
curatore senior d’arte inglese prima del 1800 e curatrice d’arte inglese 1790-1850 alla Tate) punta sul racconto di un Blake artista visivo, prima
che letterario, difensore del ruolo fondamentale dell’arte nella società e dell’importanza della libertà artistica nel suo senso più ampio e
completo.
Rinomato per essere contro le certezze del pensiero razionalista-illuminista e le istituzioni, William Blake era infatti, a modo
suo, un ribelle che ambiva alla libertà e all’indipendenza tanto da rifiutare la schiavitù, drammaticamente comune ai suoi tempi. Era un visionario
dai forti principi politici e sociali che amava dilettarsi con parole e immagini.
