la considerazione di cui ha goduto Vermeer a partire dalla sua riscoperta di fine Ottocento è stata tale da aver
oscurato un artista – Pieter de Hooch (1629 circa - 1679 circa) – che è senza dubbio uno dei più rappresentativi del Secolo d’oro olandese. Forse ha
fatto velo il fatto che fossero entrambi attivi a Delft (De Hooch negli anni Cinquanta del XVII secolo), forse il fatto di operare sullo stesso
terreno dal punto di vista dei soggetti, del genere, delle tecniche espressive. Questa mostra al Prinsenhof di Delft – la prima monografica
dell’artista nei Paesi Bassi – rende giustizia a De Hooch, intento manifesto fin dal titolo:
Pieter de Hooch a Delft. Fuori dall’ombra di Vermeer.
Anzitutto ne evidenzia l’appartenenza alla città con una selezione di opere che
privilegia proprio quelle realizzate a Delft.
Pieter de Hooch era nato a Rotterdam; si trasferisce a Delft nel 1652 ed è in quella città che
prende forma la sua identità pittorica. Quando la lascia, nel 1660, ha già chiaro il suo genere pittorico di riferimento – le scene di vita
domestica – e si sposta ad Amsterdam per contare su una clientela potenziale più ampia di quella disponibile in una cittadina che è sì in crescita
economica (grazie al fatto di essere sede di uffici importanti della Compagnia delle Indie orientali, alla produzione di birra, alla lavorazione dei
tessuti e alla nascente industria delle porcellane), ma di dimensioni decisamente ridotte rispetto a quelle del capoluogo olandese.
A Delft
esordisce con dipinti del genere “corpi di guardia”: nell’iperspecializzata comunità degli artisti dei Paesi Bassi rappresenta una variante delle
scene di taverna e consiste in raffigurazioni di fumose stamberghe dove piccoli gruppi di militari giocano a carte, bevono birra, corteggiano
ragazze. Un genere in cui a Delft già eccelleva Anthonie Palamedesz. Alcuni esempi di questi primi De Hooch aprono la mostra, allestita nelle sale
del Prinsenhof, complesso già monastico e oggi museale che si trova proprio tra i vicoli e i canali in cui il pittore viveva e che compaiono in
molti suoi dipinti. Dal cortile del Prinsenhof, alzando gli occhi, spuntano i campanili della Oude e della Nieuwe Kerk esattamente come appaiono
oltre le mura di cinta di quello che sarà “il genere” di De Hooch per eccellenza, una sua versione della vita domestica urbana ambientata – oltre
che nelle stanze interne delle abitazioni – nei cortili che quasi ogni casa aveva sul retro, luoghi di passaggio tra dimensione privata e dimensione
pubblica. La mostra, grazie a prestiti importantissimi (presenta trentacinque dipinti, dei quali ventinove di De Hooch), ne esibisce alcuni tra i
più significativi: Donna che fila in un cortile a Delft al tramonto (1657 circa), dalle collezioni reali inglesi; il raccolto, affascinante
Donna e bambino al lavatoio (1657-1659 circa); il Ritratto di famiglia in un cortile a Delft (1657 circa), dove il cortile, in cui
sono raffigurate tre generazioni della stessa famiglia, appare un’estensione sociale della casa.

Il gioco di aperture prospettiche, un’esibizione di talento e un artificio per suggerire vertiginosi effetti di profondità
