Sono stato presidente del Comitato ministeriale per le celebrazioni del cinquecentesimo anniversario della morte
di Raffaello, avvenuta a Roma il 6 aprile del 1520. Dopo una serie di riunioni che hanno visto partecipare una qualificata élite di studiosi (da
Claudio Strinati ad Alessandro Zuccari, da Vittorio Sgarbi a Silvia Ginzburg, ad Anna Coliva, a Barbara Agosti, a Rosaria Velazzi, per il
coordinamento del segretario generale Carla di Francesco), sono state definite e approvate le iniziative espositive che hanno occupato e occuperanno
l’anno memoriale.
Un ruolo eminente è stato riconosciuto alle città di Raffaello che sono tre: Urbino dove è nato e dove è avvenuta la sua
prima formazione, Firenze la città che ha visto maturare, fra il 1504 e il 1508, il suo talento e infine Roma dove, al servizio di due papi, Giulio
II e Leone X, Raffaello è diventato Raffaello, l’artista destinato a condizionare lo sviluppo delle arti nei secoli a venire, il creatore della
lingua figurativa degli italiani nell’età zenitale della loro storia.
A Urbino c’è già stata la prima mostra inaugurale dell’anno delle
celebrazioni, quella curata da Rosaria Velazzi e dedicata a Giovanni Santi, padre e primo maestro di Raffaello. Seguita, nella Galleria nazionale
delle Marche - Palazzo ducale (rimarrà aperta fino al 19 gennaio 2020), da quella dedicata agli “amici di Urbino”: Timoteo Viti e il geniale,
eccentrico, scarsamente conosciuto Girolamo Genga (curatrici Silvia Ginzburg e Barbara Agosti).
Le opere riprodotte in questo articolo, dove non diversamente indicato, sono di Raffaello e sono esposte, fino al 19 gennaio 2020, alla Galleria nazionale delle Marche - Palazzo ducale di Urbino (Raffaello e gli amici di Urbino).
