Andrzej Wajda (1926-2016) ha voluto chiudere la sua carriera con un film testamento,
Il ritratto negato (2016), sul pittore Władysław Strzemi ´nski (1893- 1952), artista astrattista e costruttivista, utilizzando il genere del
“biopic”, cosa unica nella sua filmografia e abbastanza infrequente nel cinema polacco. Perché? Wajda aveva studiato pittura all’Accademia di Belle arti
di Cracovia prima di iscriversi alla Scuola nazionale di cinema, televisione e teatro Leon Schiller di Łód´z, la più importante del paese, frequentata
anche da Kie´slowski, Zanussi e Pola ´ nski. Dista poche centinaia di metri dal Muzeum Sztuki fondato da Strzemi ´nski e luogo centrale del film, primo
museo di arte contemporanea della Polonia e secondo in Europa. L’artista, da poco omaggiato con la moglie Katarzyna Kobro da una grande mostra parigina
al Beaubourg, è stato sodale di Malevič e allievo di Tatlin, ha conosciuto Chagall e fondato a cavallo delle due guerre il movimento dell’unismo che
affermava l’unità di trama, colore e composizione. La prima sequenza lo ritrae, mutilato di una gamba e di un braccio, in una scena di pittura “en plein
air” con i suoi discepoli, che raggiunge ai piedi di una collina in modo a dir poco anticonvenzionale. Altra sequenza caratterizzante è quella nel suo
studio quando un mega ritratto di Stalin issato in strada oscura di rosso l’ambiente in cui sta dipingendo. E la sua reazione sarà il primo e
irriducibile strappo col regime.
Siamo alle soglie del 1950, anno che segna il passaggio anche in Polonia a un realismo socialista oscurantista
che censura ogni avanguardia come formalismo. Strzemńiski non si piega: perde via via tutto ciò che può perdere, fino a ridursi a una vita di stenti, in
una parabola in cui dignità estrema e autodistruzione hanno labili confini. Bella soprattutto la sequenza finale. Ma il “biopic” di Wajda trova nel suo
realismo il suo più grande pregio e difetto. Propone un film quasi didascalico, usa un realismo di segno contrario ma analogo in fondo a quello tanto
deprecato nel film e dal suo protagonista. Un film che a parte le tre sequenze segnalate manca di quello spirito innovativo che solo avrebbe degnamente
omaggiato il grande artista polacco.
Camera con vista
OMBRE ROSSE A L⁄ÓDZ
di Luca Antoccia