Nel 1999 Daniela Olivieri si sveste della sua pelle e delle sue abitudini giovanili, prima tra tutte quella di “prendere le misure”, un gesto metaforico ma anche quotidiano, che sua nonna sarta ripeteva su di lei per imbastire i modelli, e diventa Sissi. Questa rinascita, simile a quella di una crisalide che esce dal bozzolo, è sancita dalla performance Daniela ha perso il treno, in cui Sissi intraprende, su una delle banchine della stazione di Bologna, la sua città natale, un corpo a corpo con una ingombrante e pesantissima gonna-pneumatico fatta di gomma e camere d’aria. Se per Daniela l’azione risulta in un fallimento (non riuscirà a prendere il treno a causa della massiccia protesi che la costringe), per Sissi è il manifesto di una nuova poetica, d’arte e di vita, che definisce i fondamenti della sua pratica: la centralità del corpo; il rapporto sensuale con i materiali, che sono come una seconda pelle; la dualità e compenetrazione tra esterno (il mondo che ci circonda) e interno (la dimensione viscerale e sentimentale di sé); l’idea di trasformazione.
Del 1999 è anche un altro fondamentale lavoro, che fino a oggi ha contraddistinto il percorso di Sissi come inesauribile fonte di ispirazione. Si tratta
di Anatomie parallele, un diario, un libro d’artista, una mappa-atlante del corpo, dove extra-epidermico e sottocutaneo si compenetrano dando forma a un
paesaggio anatomico-emozionale tra il reale e l’immaginario, a volte surreale, ma sempre profondamente autentico. Questa anatomia altra, onirica e
sublime, rappresenta una seconda soglia artistico-esistenziale: è infatti inizialmente la sua tesi di diploma all’Accademia di Belle arti di Bologna.
Sissi ridisegna l’uomo come uno «spellato per natura», un orfano che ha perso la sua prima pelle, l’utero, il «luogo trasformante» per eccellenza,
nonché nido sicuro. E annuncia che «per ricoprirci e proteggerci», tentando di ovviare al senso di perdita e abbandono, cercheremo sempre istintivamente
la pelle perduta. Ecco perché lei stessa cambia continuamente vestito (ogni nuovo abito è una sorta di casa temporanea), cucendosi addosso giorno dopo
giorno nuovi strati o pelli, con i materiali e i colori più diversi, a seconda del suo stato d’animo, come stesse dipingendo, con ago e filo, un
ritratto della sua «psiche in movimento». La collezione di centinaia di abiti che ha creato nel corso del tempo come protesi di sé e come sculture
performative si intitola non a caso Archivio addosso(*): un’altra mappa del suo vissuto.
Il corpo è per Sissi «un paesaggio dove prendo le misure di ciò che voglio essere », un luogo da studiare fin nelle viscere, pezzo per pezzo, per
arrivare a «leggersi dentro». Questo è il titolo di un morbido vestito scultoreo che lei indossa, come rappresentazione di un corpo vivisezionato
(difficile non pensare a quelle «mummie » che Leopardi rianima in una delle sue Operette morali per farle dialogare con Federico Ruysch, il
famoso anatomista secentesco), quando performa la sua Anatomia parallela in quei sontuosi teatri (è stata a Bologna, Padova, Londra, Torino,
Pistoia), dove in epoca barocca si sezionavano i cadaveri a scopo di studio. Sissi va in scena, con tutte le budella di fuori, mostrando e spiegando a
gran voce le sue tavole anatomiche, che mettono a nudo un corpo costituito principalmente da umori, flussi, sentimenti, ma anche da organi e forme in
perenne metamorfosi. Tra l’umano, l’animale e il vegetale, lingue giganti e nervose dal forte sex appeal si tramutano in petali; ossa e vasi sanguigni
si diramano e moltiplicano in rami e radici.
Da questa pratica, che Sissi svolge anche in Accademia, dove da anni tiene il corso di anatomia (parole e immagini hanno per lei non solo una valenza poetica, ma anche didattica), sono nati numerosi altri progetti, come, tra i più recenti, la mostra Manifesto anatomico (Museo civico archeologico di Bologna, 2015) e la pubblicazione Lezioni di anato-mia (Corraini Edizioni 2016). Con Sissi il corpo si veste di nuovo.