Era il 19 dicembre 2003, il cosiddetto “venerdì nero” per Parmalat. Proprio quel giorno venne scoperto il buco di bilancio dell’azienda, che in seguito risultò consistere nella strabiliante cifra di quattordici miliardi di euro. Il 27 dicembre dello stesso anno Calisto Tanzi fu condotto in carcere a San Vittore a Milano: la lunga storia imprenditoriale del “gran lattaio” era finita, e il resto è cosa nota.
Tuttavia, fin dall’inizio dei processi, si cominciò a parlare di un misterioso “tesoro di Tanzi”: un tesoro monetario mai trovato e che forse non è mai
esistito, e un tesoro di opere d’arte che invece venne sequestrato a partire dal dicembre 2009, quando un’azione congiunta coordinata dalla Procura di
Parma e condotta da Polizia tributaria, Guardia di finanza, Carabinieri, prelevò dalle abitazioni di Tanzi e di altri personaggi a lui vicini una serie
di opere e arredi. Questi confluirono nei depositi della Galleria nazionale di Parma (Complesso monumentale della Pilotta) e furono affidati alla
custodia giudiziale dell’allora dirigente, Lucia Fornari Schianchi; da quel momento in poi le vicende della collezione vennero trattate nella massima
segretezza, nonostante già nel 2011 la successiva soprintendente avesse progettato una mostra - ottenendo anche l’autorizzazione dal procuratore della
Repubblica -, poi non realizzata a causa dell’avvicendarsi di vari dirigenti alla guida dell’istituzione museale.