Una mostra su Luigi Valadier (1726-1785) a Roma, nella Galleria Borghese, non può essere dedicata solo a un prodigioso artefice dell’argento, del bronzo, delle pietre incise e dell’intarsio di marmi e pietre dure, ma deve di necessità innestarsi nel crearsi di una nuova coscienza dell’antico che sarebbe diventa la base del nuovo linguaggio stilistico, il neoclassicismo. La villa in cui ha sede il museo è il luogo maggiormente impregnato del suo stile nelle sue più varie declinazioni, in quanto il principe Marcantonio IV Borghese (1730-1800) fu, assieme a papa Braschi, il suo maggiore e più assiduo committente. Massimo proprietario terriero del Lazio, mecenate e collezionista, acclamato come l’uomo «più fastoso di Roma», il principe fu anche oltremodo generoso, a giudicare dalla mole di pagamenti registrati nell’archivio Borghese, e instaurò con l’artista un rapporto che si prolungò per tutta la durata della breve vita di Valadier.
Nonostante tutto ciò, la mostra deve innestarsi nello sviluppo della coscienza dell’antico e soprattutto del suo vertiginoso impennarsi nell’Urbe a
partire dalla metà del secolo XVIII, in una scelta di gusto romano dalla decisa riconoscibilità. Riconoscibile come una sorta di “ordine”, prodromico al
definirsi dei vari neoclassicismi europei.
A Roma il passaggio tra il XVIII e il XIX secolo fu un momento cruciale, da cui scaturirono i caratteri della modernità. Fondati sulla saldezza ideale
di un complessivo studio dell’antico, questi caratteri, elaborati da una intera civiltà erudita propriamente romana, vennero trasfigurati da Giovanni
Battista Piranesi in questione cruciale dell’attualità, in creazione del presente.