La pagina nera


È CROLLATO ANCHE
IL TETTO
DI QUEL TEMPIO
ASSAI NEGLETTO

Sembra che nel nostro paese l’attesa sia l’unico comportamento possibile. Per fare cosa? Per assistere, impotenti, allo sfacelo di luoghi e memorie? Ripercorrendo le vicende della chiesa duecentesca di Santa Croce nel Viterbese, ridotta ormai a un rudere, la conferma è sconcertante. E di certo non ci consola l’idea che un edificio storico possa essere sostituito da uno nuovo, privo di qualsiasi aggancio con il “genius loci”.

di Fabio Isman

La valle di Faul, ai piedi di Viterbo, non è soltanto un notevole polmone verde; ma, sotto il colle dominato dal Palazzo papale, costituisce anche un’invidiabile porta d’ingresso alla città. A fine Ottocento, uno studioso scriveva che «è l’ultima contrada inclusa nella città», e s’interrogava sulla sua etimologia: un remoto campo di fave, o terreni appartenuti a un tal Faulo, il cui nome ricorre nei documenti? Ha anche avuto un ragguardevole passato. Come ricorda Mauro Galeotti, direttore del quotidiano online “La citta” (www.lacitta.eu), vi si svolgevano i giochi popolari: corse di uomini, di asini, il tiro con le frecce. Nel 1475 si decise che quattro volte all’anno si corresse un palio con «cavalli barberi », e, a mezz’agosto, anche una «giostra del toro feroce». Il premio del palio era collocato sulla colonna «di ser Monaldo», allora qui e ormai, dopo qualche peregrinazione, in piazza dei Caduti. Sul capitello è scritto «Memoriale domini Monaldi»: iscrizione che ricorda forse condanna a morte di Monaldo de’ Monaldeschi, il 23 dicembre 1456, come omicida di Guglielmo Gatti, esponente di una famiglia rivale di parte guelfa? Oltre al ricordo, dei Monaldeschi ci è rimasta, comunque, la torre del Palazzo del podestà, alta quarantaquattro metri, innalzata nel 1489 dopo il crollo di quella precedente. E tra le memorie, c’è anche quella di un palio con cavalli e cavalieri al Faul, nel 1481: alla fine, il vescovo scomunicò i priori della città, perché avevano usato un pulpito come palco per la giuria.