Verdure o legumi immersi nel brodo caldo e variamente rinforzati o insaporiti: è la minestra, il più semplice ed economico nutrimento, con il suo potere consolatorio che evoca casa, calore, accudimento. Lo attestano infiniti proverbi, modi di dire, aforismi – presenti in tutte le lingue e nelle differenti culture – quali, in italiano, il popolare «O mangi la minestra o salti dalla finestra», oppure il cinematografico «È una gran cosa sapere che pioggia o vento, da qualche parte c’è un piatto di minestra calda che ti aspetta» (dal film Il buono, il brutto, il cattivo, regia di Sergio Leone, 1966). Ma può essere, in senso figurato, anche simbolo di noia e ripetitività («È sempre la stessa minestra») o metafora di relazioni affettive: «Minestra riscaldata e amore rinnovato hanno un cattivo sapore», fino al disilluso «L’amore è come la minestra: i primi cucchiai sono troppo caldi, gli ultimi sono troppo freddi» dell’attrice Jeanne Moreau. Una parola sola per indicare tante diverse preparazioni, fino a diventare – in alcune regioni italiane – sinonimo di tutti i primi piatti, anche asciutti.
Ugualmente, dipinti e miniature attestano dai tempi più antichi il rapporto strettissimo della minestra con tanti e differenti momenti della vita: può servire a rinvigorire la puerpera, essere delicata e raffinata preparazione che predispone a piatti più corposi, rustica vivanda che riempie lo stomaco di famiglie numerose o primo cibo nello svezzamento di un bambino. Ma può anche essere legata a un’infermità, come nella Dama ammalata di Pietro Longhi (nome d’arte di Pietro Falca, 1701-1785), un dipinto che è quasi simbolo dell’intera cultura veneziana del Settecento, dei suoi usi e costumi, del suo stretto intreccio col teatro.