Intervista 
Jeffrey Schnapp, direttore e fondatore del metaLAB di Harvard

UN CALEIDOSCOPIO DEL NOVECENTO

A che serve collezionare se non abbiamo occasioni per mettere a frutto e condividere il patrimonio accumulato? Pensiamo alla ricchezza presente nei depositi dei musei. Come “rianimare” e rendere accessibili questi tesori nascosti? Ne abbiamo parlato con Jeffrey Schnapp, ideatore della mostra alla Fondazione Cirulli, custode di una cospicua ed eterogenea raccolta di opere del secolo scorso.

Cristina Baldacci

Museo con un archivio enciclopedico alle spalle, la Fondazione Cirulli ha inaugurato a novembre una grande mostra negli spazi della sua sede a San Lazzaro di Savena (Bologna). L’archivio animato. Lavori in corso propone uno sguardo multifocale sulla cultura visiva italiana novecentesca. Il suo ideatore è Jeffrey Schnapp, che, oltre a far parte del comitato scientifico della Fondazione, è direttore e fondatore del metaLAB all’Università di Harvard, dove insegna anche Letterature romanze e comparate e co-dirige il Berkman Klein Center for Internet & Society.
Lo abbiamo intervistato.
Com’è nata l’idea di questa mostra-“laboratorio”?
È un progetto che coltivo da anni. Come esseri umani siamo brillanti accumulatori, ma falliamo sistematicamente nell’animare le collezioni che costruiamo, per mantenerle vive nella memoria e sfruttarne le possibilità narrative. Il risultato è noto ai professionisti dei musei (per non parlare degli archivisti e bibliotecari): il novanta-novantacinque per cento del nostro patrimonio culturale è sepolto in de positi perlopiù inaccessibili agli stessi addetti ai lavori. Vorrei riattivare questi tesori storico-culturali con progetti curatoriali innovativi, con piattaforme digitali in grado di accostarsi a pratiche ambientali e analogiche.
La mostra in Fondazione segue un criterio alternativo: cerca di essere veloce e agile invece di rifarsi a un modello dalle soluzioni grandiose, che richiedono anni di preparazione, numerosi prestiti e costi elevati. L’obiettivo è sperimentare, fare domande e accedere a risorse poco note che documentano la storia del Novecento italiano in tutta la sua complessità.
Mi auguro che questa sia la prima prova di una serie che adotta nuovi formati espositivi. La mostra come grande narrazione ha ancora il suo spazio, soprattutto se si basa su un programma di ricerca serio e concreto (cosa purtroppo assai rara); altrimenti corre il rischio di diventare noiosa e prevedibile.


Tutte le opere riprodotte in questo articolo sono conservate presso la Fondazione Massimo e Sonia Cirulli di San Lazzaro di Savena (Bologna).

Xanti Schawinsky, Olivetti MP1 la prima portatile (1935).