La mostra Caravaggio-Bernini. Barok in Rome mette in atto un curioso cortocircuito. Il museo che ospita i principali esempi dell’unico importante centro artistico che nel XVII secolo trascurò il Barocco per indirizzarsi su una strada autonoma rispetto al resto d’Europa organizza una mostra attorno a un nucleo di opere che rappresentarono le prime manifestazioni proprio di quel nuovo linguaggio.
Seicento olandese e Barocco romano andarono ognuno per la propria strada senza quasi incrociarsi, sobrio e riservato naturalismo da un lato, esuberante e teatrale virtuosismo dall’altro. Le due strade si incontrano così, adesso, in uno stesso luogo, e possiamo immaginare con che occhi i severi calvinisti in abiti scuri appesi alle pareti del museo di Amsterdam guarderanno quel Cristo incoronato di spine (Caravaggio), quel dolente San Sebastiano (Bernini), quel San Francesco in estasi (Baglione) così cattolici, così atteggiati, un po’ eccessivi, melodrammatici.
Ma era esattamente questa la rivoluzione che nasce a Roma tra 1600 e 1640. Con i potenti chiaroscuri di Caravaggio, pittore lombardo trasferitosi nella città papale negli ultimi anni del Cinquecento, e poi con le invenzioni scenografiche dello scultore, pittore, architetto Gianlorenzo Bernini (1598-1680) si fonda un rinnovamento generale delle arti rispetto alle ormai stanche formule classiciste e tardomanieriste del secolo appena chiuso. Il Barocco - come verrà chiamato più tardi dal nome di un tipo di perla di forma particolarmente irregolare e stravagante - è un linguaggio profondamente legato al messaggio e alle politiche antiprotestanti della Controriforma cattolica, fondato su parole d’ordine evocate chiaramente dalle opere in mostra: “vivezza”, “moto”, “scherzo”, “terribilità”.

Una ricercata capacità di evocare sentimenti,passioni, stupore