Grandi mostre. 5 
Artemisia Gentileschi a Londra

UN’INDOMITA CREATIVITÀ

Le eroine bibliche e della storia antica sono le protagoniste dell’importante mostra londinese dedicata ad Artemisia Gentileschi: Giuditta, Cleopatra, Ester, Susanna e Giaele, raffigurate con soluzioni teatrali e drammatiche da una sensibilità assolutamente femminile.

Valeria Caldelli

La casta Giuditta è elegantissima nella sua bellezza un po’ maschia mentre decapita la testa ricciuta del generale Oloferne: il prezioso bracciale dagli ovali di pietra è rialzato sul braccio perché non disturbi la feroce impresa, le maniche dell’abito sontuoso portate sopra il gomito quasi si trattasse di una faccenda domestica. Giaele, sguardo mite e orecchini di perle, è accovacciata sulle ginocchia quando brandisce il martello con cui è pronta a conficcare il picchetto nella testa del dormiente Sisara.
E Susanna, gli occhi pieni di paura, cerca di coprire la sua bellezza opulenta dallo sguardo concupiscente dei due vecchioni. La carriera di Artemisia comincia nel 1610, a soli diciassette anni, proprio con lei, Susanna, nella bottega del padre Orazio Gentileschi a Roma, tra garzoni e popolane che offrivano i loro volti per santi e Madonne, in quell’inquieto fermento che accompagnò la profonda trasformazione dell’arte all’arrivo del Caravaggio. E si concluderà a Napoli, oltre quarant’anni più tardi, dipingendo lo stesso racconto biblico, forse con meno coinvolgimento emotivo ma con un’identica volontà di sopravvivenza. Nel mezzo una biografia avventurosa e un repertorio di eroine per un nuovo genere di storia, quella al femminile. Vita e arte si fondono in un personaggio di straordinario coraggio e determinazione, a partire dallo stupro subito a diciassette anni e dal successivo mortificante processo che la espose allo scherno e che avrebbe distrutto reputazione e carriera a qualsiasi altra donna di tutti i tempi. Ma non a lei, che concentrò la sua ira sulla cieca violenza delle sue Giuditte, sui gesti mortiferi di Giaele e di Dalila, offrendo immagini teatrali di potenza inattesa. Fu la pittrice a far trionfare la donna e a trasformarla nella “signora” dai clienti importanti e dai potenti ammiratori. «Farò vedere a V.S. Illustrissima quello che sa fare una donna», scriveva il 7 agosto del 1649 a don Antonio Ruffo, uno dei suoi numerosi committenti. Ma la celebrità si spense pochi decenni dopo la morte, avvenuta nel 1654 a Napoli.


Giuditta e Oloferne (1613-1614 circa), Firenze, Gallerie degli Uffizi.