La mostra inaugurata alla fine dello scorso anno a palazzo Madama e dedicata ad Andrea Mantegna è una piccola antologia a uso e consumo del visitatore, quasi un vero e proprio manuale.
Esattamente come la mostra su Van Dyck dell’anno scorso, la scelta adottata dalla curatrice è quella di mettere in piedi una rassegna che sappia conciliare divulgazione con precisione scientifica, seguendo una tradizionale lettura critica - da manualistica universitaria - attraverso una serie di confronti e capitoli che, dagli esordi fino al periodo tardo, toccano tutti i temi centrali di una delle più importanti figure del Rinascimento.
Il mondo di Mantegna è quello del “Rinascimento eccentrico” che, fuori da Firenze, seppe creare un linguaggio autenticamente nuovo senza “intoscanirsi” eccessivamente ma, anzi, facendo di ogni influenza un’occasione di confronto consapevole e stimolante.
A chiunque visiti la mostra avendo in mente qualche lettura in materia non possono che sovvenire alla memoria le piacevoli - e giustamente famose - pagine di Giovanni Agosti dedicate proprio al genio padano e capaci di sintetizzare le due anime dell’artista, in costante bilico tra suggestioni di un passato ancora cortese, perché calamitato politicamente in Europa, e un presente che per la riscoperta dell’antico nutre un interesse esaltato, quasi liberatorio.
Si comincia, dunque, dall’inizio padovano, ove dominante è il lavoro di Francesco Squarcione che, con la sua numerosa bottega, può essere considerato il maestro sui cui banchi di scuola hanno sgobbato come alunni Mantegna stesso, Bellini, Crivelli, Cosmè Tura e praticamente tutti i più importanti e singolari artisti norditaliani dell’epoca. La figura dello Squarcione oggi sarebbe quanto meno definita controversa, non fosse altro che per l’espediente con il quale era solito prendere in adozione i propri allievi, evitando così una serie di obblighi finanziari e legali nei loro confronti, ma finendo anche col prendersi una denuncia per sfruttamento di lavoro non retribuito proprio da Mantegna.
Che piacesse o no ai suoi alunni, comunque l’impronta squarcionesca rimase come indelebile timbro sulla produzione giovanile di tutti questi artisti, presenti nelle prime sale della mostra e ben connessi da alcuni confronti ritmati con diligenza. L’atmosfera è quella di un comune sentire in cui si mescolano con fascino gusto antiquario (in bottega erano notoriamente presenti reperti archeologici per studi di composizione) ed eccentricità cortesi, che si declinano di volta in volta in maniera diversa.
