Ogni opera di Abdoulaye Konaté (Diré, Mali, 1953) è in dialogo con la realtà, la cultura, la natura del suo
paese, il Mali. Il suo medium è il tessile, che l’artista africano usa tinto in infinite nuance di colori e utilizza come se fosse pittura a olio o
acrilica. Narratore prolifico, usa simboli che tutti noi conosciamo per parlare di storie complesse. Ritrae una effimera farfalla, per esempio, per
esprimere la fragilità dell’indipendenza dei paesi africani.
A differenza di molti autori (sempre africani) della sua generazione e di quelle
successive, Konaté si è formato, tra il 1972 e il 1976, in una delle accademie più prestigiose del Mali, l’Istituto nazionale delle arti di Bamako.
All’inizio degli anni Sessanta, a seguito dell’indipendenza, lo Stato maliano instaurò un solido legame con l’isola di Cuba: lo scambio tra i due
paesi prevedeva l’ospitalità nelle accademie e università cubane di studenti africani. Konaté fu uno di loro, si trasferì a L’Avana dove studiò
all’Instituto Superior de Arte (dal 1978 al 1985), prima di tornare definitivamente in Mali.
