In un solo gesto si può condensare la credenza religiosa di un popolo? E questo segno può essere elevato verso una dimensione superiore, sacrale, per evocare un messaggio oltremondano o per mettere in azione forze invisibili? Già dal VI secolo a.C. la pittura vascolare greca utilizza il vocabolario gestuale nell’iconografia per diffondere e comunicare valori sacri e mitologici. Nella ritualità dionisiaca, compiere il gesto delle corna o quello con il medio e l’anulare uniti a palmo aperto equivale a segnalare l’appartenenza a una religione che crede alla possibilità di rinascere o di vivere altrove dopo la morte terrena. I due gesti sono una forma simbolica che sintetizza la storia di Zagreus, ovvero il figlio di Zeus e di Persefone: per sfuggire ai Titani mandati da Hera, Zagreus si trasforma in toro, ma viene catturato, ucciso e smembrato; Zeus riesce a salvare solo il suo cuore; tanto basta al dio degli dèi per mettere al mondo un rinnovellato Zagreus, un essere immortale che viene chiamato Dioniso, da intendere come la divinità che nasce due volte, e che ha il potere di ridonare la vita ai mortali(1). Il gesto che compare nei vasi con scene inerenti a Dioniso sintetizza il significato profondo legato alla resurrezione, al ritorno, alla ripartenza, alla sconfitta della morte. Il gesto, dapprima utilizzato in ambito rituale e poi nell’iconografia funeraria, evoca le corna di Zagreus, il sacrificio da cui è conseguita la rinascita, in altra forma, quella immortale, di Dioniso(2). Ma oltre a evocare colui che vive due volte, il gesto delle corna testimonia qualcosa che proviene da tempi più antichi, dalla preistoria, da culti legati a divinità taurine o ad animali-guida dotati di palchi.
