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ACCARDI,
LA DANZA DEI SEGNI

di Daniele Liberanome

Buono ma non eccezionale il mercato di Carla Accardi, legata all’astrattismo e al gruppo Forma 1 di Roma ma protagonista di una ricerca del tutto personale: testimoni le sue opere, in bianco e nero, di forte impatto estetico

Alfiere del mercato dell’arte italiana del dopoguerra, Carla Accardi (1924-2014) sta vivendo un buon momento, seppur non di eccezionale popolarità fra i collezionisti. Il suo nome è legato all’astrattismo, al gruppo Forma 1 di Roma che creò con Consagra, Dorazio, Attardi, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato a fine anni Quaranta, ma la sua ricerca di nuovi modi espressivi non si fermò mai e la portò su un percorso autonomo e personale. Le sue opere trovano così spazio nei grandi musei italiani dedicati all’arte nostrana del dopoguerra, a partire dal Museo del Novecento di Milano. Nei primi anni Cinquanta, mentre in Europa iniziavano a giungere echi dei lavori di Jackson Pollock e degli espressionisti astratti - per i quali il colore era elemento fondamentale della loro creatività -, la Accardi iniziò a utilizzare esclusivamente il bianco e il nero, in modo da creare, di getto, opere in cui l’insieme dei segni dava vita a strutture complesse e imprevedibili, spesso di grande impatto anche estetico. È il caso di Integrazione ovale del 1958 in cui, sullo sfondo monocromo nero, si muove qualcosa che ricorda un cervello umano o forse un bouquet di fiori bianchi e comunque una forma che pare familiare e solletica in modo diverso e personalissimo le associazioni visive e mentali di chiunque la osservi. Integrazione ovale, dopo essere rimasta a lungo in abitazioni private e gallerie milanesi, è stata offerta da Dorotheum di Vienna, casa d’asta con forte presenza sul mercato lombardo. Era il 27 novembre 2018 e il martelletto del banditore scese solo quando l’offerta finale giunse a 295mila euro, cifra record per l’artista. In quella occasione la stima iniziale venne superata, ma non in modo eclatante perché è noto che le opere della seconda metà degli anni Cinquanta sono fra le più richieste della Accardi. Lo stesso accadeva anche nel 2008, quando l’11 marzo Finarte di Milano riuscì ad aggiudicare Grande integrazione del 1958 per quasi 200mila euro, facendo leva sul senso di movimento delle forme bianche sul fondo scuro, il cui ritmo, quasi come una sorta di danza, non può lasciare indifferenti.