Ritrovare casualmente due dipinti di Natalja Gončarova è davvero una grande emozione.
È quello che è successo a chi scrive durante le ricerche per un libro che in realtà riguardava un’altra artista, la boema Růžena Zátková. Proprio per rintracciare alcune sue opere disperse da decenni, una volta scoperta una loro presunta collocazione, intrapresi un viaggio rocambolesco che mi permise di scovare in un’abitazione privata diversi lavori non solo della Zátková ma anche appunto due opere della Gončarova.
Si tratta di due lavori su carta ad acquerello e gouache di soggetto religioso. Il primo, datato marzo 1916, è composto da dieci fogli separati e indipendenti, ognuno siglato «HГ» (le iniziali di Natalja Gončarova in cirillico), incollati sullo stesso piano del cartone di supporto a formare un’unica composizione. Al centro, in due fogli sovrapposti, uno ieratico Cristo pantocratore in trono con, ai lati della testa, l’occhio onniveggente del Signore e la colomba dello Spirito santo; ai quattro angoli gli evangelisti con i rispettivi tradizionali attributi (Matteo/angelo, Luca/toro, Marco/leone, Giovanni/aquila); gli altri quattro fogli ai lati del Cristo presentano infine raffigurazioni animali e motivi floreali.
Colpiscono in particolare la vividezza dei colori e la freschezza della composizione che, pur improntata a un ostentato primitivismo, risulta vitale e sincera. Tra le varie fonti visive, oltre all’esplicito riferimento alle stampe popolari russe (“lubki”), si può annoverare senz’altro la pittura miniata sia bizantina che persiana amata, studiata e collezionata dalla coppia Natalja Gončarova/Michail Larionov.
Il secondo lavoro, dipinto a Roma nel novembre 1916, è un solenne volto del Salvatore, chiaro omaggio alla pittura delle icone modernizzata tramite il ricorso a una stilizzazione formale e lineare.
Il viso di Cristo con la sua aureola dorata intorno al capo, gli occhi enormi e sproporzionati, il ricciolo di capelli sulla fronte, il naso estremamente affilato, i baffi “alla mongola” e il pizzetto a doppia punta sembrano dipinti con una certa dose di umorismo che lo rende spiritoso senza però privarlo di un senso di profonda religiosità.
Non ho mai avuto dubbi circa l’autenticità dei due quadri: oltre alle firme e alle dediche sul retro, durante le mie ricerche erano emersi alcuni documenti che confermano l’identificazione delle opere e l’attribuzione alla Gončarova in modo definitivo, anche grazie al meticoloso lavoro di Alena Pomajzlová, massima studiosa della Zátková e la prima a esaminare in modo sistematico il carteggio tra la pittrice boema e la coppia Gončarova/Larionov conservato presso la Galleria Tret’ jakov di Mosca.
La Gončarova trascorre l’estate del 1915 a Ouchy, sul lago di Losanna, insieme agli artisti dei Balletti russi di Djagilev ai quali si aggrega anche Růžena Zátková. Durante il soggiorno svizzero l’artista russa promette in regalo all’amica boema, o questa le commissiona, un’opera che ha per soggetto i quattro evangelisti. Nel gennaio 1916 infatti Zátková le scrive:
«Come procede il lavoro sui costumi per Sadko? E i miei Evangelisti?»(1). Inoltre, nel marzo successivo si tiene a Roma un’esposizione a cui la Gončarova partecipa con due disegni e Quattro evangelisti, indicato in catalogo come «Propr. [proprietà] del sig. Khvoshinsky»(2), marito della Zátková, collezionista e diplomatico dell’ambasciata russa a Roma.
Per quanto riguarda il volto di Cristo, pochi mesi prima della mostra romana, proprio dalla capitale italiana nella quale soggiorna per un periodo piuttosto lungo, la Gončarova ha spedito un’opera al sanatorio svizzero di Leysin per confortare l’amica boema che, contratta la tubercolosi a San Sebastián, è qui ricoverata dal settembre 1916.


Colpiscono la vividezza dei colori
e la freschezza della composizione
e la freschezza della composizione