Nell’universo instabile e aleatorio delle classificazioni critiche in campo storico-artistico, non è infrequente imbattersi in opere che vantano oblii più o meno lunghi, riscoperte mirabolanti e di effimera fortuna mediatica, oppure autentiche “damnatio memoriae” più o meno consapevoli. L’aspetto che merita di essere considerato non superficialmente, soprattutto in alcuni di questi casi, è costituito dall’auspicabile percezione di trovarsi di fronte a scelte critiche il cui accoglimento - e, per converso, la cui negazione - è in grado di condizionare in maniera decisiva la ricostruzione di singole situazioni o ambiti di rilievo, se non addirittura interi segmenti di storia dell’arte. Un caso davvero rilevante è dato dallo stupefacente doppio ritratto - in due tavole unite - conservato alla Kunsthaus di Zurigo (inv. n. 586), che sebbene riconosciuto autografo di Andrea del Castagno (Castagno d’Andrea, Firenze, 1417/1419 circa - Firenze 1457) da studiosi del calibro di Georg Pudelko, Luciano Berti e Miklós Boskovits, è stato perlopiù ignorato e continua a esserlo tutt’oggi. Declassato a esemplare di ignoto italiano o fiammingo da taluni, ritenuto da altri copia antica da illustri cicli perduti - gli affreschi di Domenico Veneziano e del Baldovinetti in Sant’Egidio a Firenze -, è stato perfino bollato come falso ottocentesco.
Difficile dimenticare il fascino e l’attrazione di questi due giovani volti e delle insegne medicee sul tergo, di straordinario nitore “pierfrancescano“ - assai simili tra loro, ma individuali come i rispettivi ritratti -, nonostante siano trascorsi ormai non pochi anni da quando li ammirai a lungo nella Sala bianca di palazzo Pitti, alla mostra Firenze e gli antichi Paesi Bassi, 1430-1530, curata da Bert W. Meijer nel 2008.
