L'oggetto misterioso
IL SORRISODELL’UOMO-LEONE
di Gloria Fossi
È il più remoto esempio di figura ibrida.
È in ascolto? Sta parlando? Qualcuno v’intravede un sorriso.
Tutto può essere… l’Uomo-leone è un individuo immaginario, eppure concreto: ci appare nella forma di una delle prime sculture, forse la prima in assoluto del nostro passato. Fino a oggi, è il più antico esemplare di figura ibrida che si conosca. Alto 31 cm, ha circa quarantamila anni ed è rimasto sepolto fino al secolo scorso, in frammenti, nella grotta di Hohlenstein-Stadel, nel Giura svevo, habitat di umani anatomicamente moderni, cioè della specie Homo sapiens: la nostra. Cacciatori-raccoglitori, i nostri lontani antenati si spostavano a piccoli gruppi nelle valli dell’Alto Danubio, modellate nell’era glaciale, frequentate da mammut, renne, cavalli, bisonti, leoni delle caverne. Nelle grotte lasciarono i primi strumenti musicali, sculturine di mammut e piccole teste di cavalli. In quell’area, come nella regione attorno alla grotta Chauvet, in Dordogna, si ritiene ora, dopo le recenti scoperte, che siano sorte le prime manifestazioni figurative dell’umanità: a Chauvet un ciclo parietale con strabilianti immagini di animali, datate attorno a 35.000 anni fa. Nel Giura svevo, in sei grotte vicine fra loro (dal 2017 nella lista Unesco del Patrimonio dell’umanità), una serie di oggetti scolpiti in avorio di mammut, di altrettanto, sorprendente realismo, databili ancora più indietro, fino a 40.000 anni fa.
Torniamo al nostro Uomo-leone del Giura svevo (ammesso che si tratti di un uomo, come pare in effetti più probabile, e non di una donna, come altri propongono). Eretto, testa leonina, corpo in parte umano, fu scolpito in un unico pezzo ricavato dalla parte più tenera di una zanna di mammut. La foggia lievemente arcuata corrisponde alla zona meno ricurva della zanna, la più prossima alla bocca dell’animale. Nel 2013 è stato ricomposto con ottocentotrentadue frammenti rinvenuti a più riprese negli scavi di Hohlenstein-Stadel (1939-2012). La grotta in realtà era nota fin dal 1861, quando fu avvistata da un geologo e paleontologo tedesco, Oscar Fraas, in cerca di fossili. Nel 1935 altri archeologi effettuarono gli scavi, proseguiti fino al 25 agosto 1939. La scoperta più sensazionale avvenne proprio quel giorno, e poi, alla fine della serata il cantiere fu chiuso per lo scoppio della guerra. Erano venuti alla luce circa duecento frammenti d’avorio che fecero subito presupporre l’esistenza di una scultura elaborata. Non ci fu tempo di far altro che spedirli nella vicina Ulma in deposito. Nel 1969, Joachim Hahn, archeologo di grande talento, si rese conto della rilevanza di quei frammenti, che assemblò ricreando una statuetta, ancora molto lacunosa, alta 31 cm. Nel 2013 Thomas Beutelspacher e Claus-Joachim Kind hanno individuato, nella grotta di Hohlenstein-Stadel, il punto esatto del ritrovamento del 1939, da dove sono emerse oltre cinquecento schegge d’avorio lavorate.
La statuetta è stata smontata e rimontata con un lavoro certosino, col risultato che abbiamo oggi sotto gli occhi (è suggestivo osservarla nel sito online che la riproduce in 3D, v. nota a fine articolo).
Il radiocarbonio applicato ai dati stratigrafici del ritrovamento ci dicono che l’oggetto risale alla fase più antica del Paleolitico superiore, l’Aurignaziano. Dopo quarantamila anni, l’Uomo-leone è tornato “in vita”, nel Museum Ulm, protetto in una vetrina. Presenta lacune, parti della superficie esterna sono perdute, purtuttavia ha un fascino arcano, tanto è distante nel tempo eppure così presente e verosimile. È un felino con l’aspetto in parte umano o un essere umano in parte felino? In realtà è un “teriantropo”, divinità con testa animale e corpo umano. La sua testa corrisponde a quella di un leone delle caverne (“Panthera leo spelaea”), privo di criniera anche negli esemplari maschili.

