L'arte come professione. In Italia non ne abbiamo ancora sufficiente consapevolezza, né a livello culturale-sociale, né politico-istituzionale. La crisi pandemica ha risvegliato l’urgenza di ripensare il mondo in cui viviamo, non più solo a parole. Fatti, azioni, cambiamento: (ri)scrivere le regole domandandosi quale ruolo, quali diritti ha l’artista nella nostra società postcapitalista e globalizzata. Questo è ciò che si propongono gli Art Workers Italia [AWI] - rigorosamente con la parentesi quadra, che allude a un’identità visiva orizzontale, inclusiva e rivolta a mettere in risalto contenuti-chiave -, gruppo promotore di una pratica radicale che ricorda quella della Art Workers Coalition (AWC) americana durante la crisi della guerra in Vietnam. Abbiamo intervistato il collettivo.
Chi siete e come siete organizzati?
Siamo un gruppo informale, autonomo e apartitico, di lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee, formatosi su base partecipativa nel contesto
dell’attuale crisi dovuta alla pandemia di Covid-19. [AWI] include tutte quelle figure che operano all’interno di enti e istituzioni pubbliche e private
per l’arte contemporanea e/o che svolgono una libera professione in collaborazione con esse. Attualmente abbiamo organizzato il lavoro in diversi tavoli
tematici che operano in sinergia permettendoci di portare avanti una costante attività di approfondimento, autoformazione e coordinamento delle
mobilitazioni.